a cura della III/C Scuola secondaria I Grado Galeazzo Alessi –
Giovedì 17 gennaio, nell’ambito del progetto “Sulla via della salvezza” ci siamo recati al Museo della Memoria di Assisi situato, non a caso, all’interno del Palazzo Vescovile, luogo in cui San Francesco fece la sua Spoliazione. Come San Francesco, anche gli Ebrei in quel luogo si sono spogliati di tutto ciò che avevano, compreso il loro nome, per potersi salvare dalla furia dei nazisti.
Ad accoglierci e accompagnarci in questo viaggio nel passato ci sono state due guide bravissime: la signora Francesca Cerri e Marina Rosati, ideatrice della mostra e del Museo stesso, da lei fortemente voluto per ricordare gli Ebrei salvati ad Assisi tra il 1943 e il 1944, grazie all’aiuto di uomini di chiesa e di tanti assisani che hanno messo in pericolo la loro vita per salvare persone innocenti da morte sicura.
Durante la seconda guerra mondiale Assisi era Città Ospedaliera perciò non poteva essere bombardata; qui giungevano ogni giorno centinaia di profughi e tra di loro venivano nascosti degli Ebrei. Appena condotti nei sotterranei del palazzo vescovile gli veniva chiesto di lasciare tutto ciò che possedevano e i loro oggetti venivano murati nelle pareti di quelle stanze che per mesi hanno nascosto indumenti, fotografie, documenti, gioielli e libri sacri.
Da quel momento gli Ebrei dovevano assumere una nuova identità: questo compito era affidato a due bravissimi tipografi, Luigi e Trento Brizi, che con la Felix, mitica macchina da stampa in bella mostra nel Museo, preparavano i documenti falsi. Pensate che i signori Brizi, non erano molto credenti ma non ebbero un attimo di esitazione nel dare il loro contributo a questa bellissima rete clandestina, le cui fila erano tenute insieme da uomini come Don Aldo Brunacci, Monsignor Placido Nicolini e Padre Rufino Niccacci.
E che dire della grande disponibilità delle suore di clausura di Assisi? Grazie a loro gli Ebrei avevano un tetto sopra la testa e un luogo sicuro in cui riprendere fiato e tornare a sperare nel futuro. Le suore dei monasteri di San Quirico, Santa Colette, San Giuseppe, Santa Croce e quello delle Suore Stimmatine, hanno “violato” la loro clausura per salvare vite umane. Con la signora Rosati abbiamo camminato per le vie di Assisi cercando di ripercorrere i passi di tanti Ebrei e siamo entrati, cosa più unica che rara, nel Convento di Santa Colette, luogo in cui vennero nascosti alcuni membri della famiglia Finzi. La “suora esterna”, così chiamata perché ha il compito di intrattenere rapporti con il mondo esterno, ci ha fatto visitare il convento e ci ha fatto vedere gli spazi esterni dove c’erano i fienili che accoglievano gli Ebrei. Ci ha mostrato, inoltre, un lungo mantello che i rifugiati dovevano indossare ogni volta che passeggiavano nel giardino, per nascondersi ad occhi troppo indiscreti. Abbiamo avuto l’onore di conoscere la madre superiora che ci ha parlato a distanza, da una piccola finestra, e si è rivolta a noi un po’ in italiano e un po’ in francese visto che il loro ordine è costituito da suore francesi. Abbiamo scoperto così che, per alcuni mesi, quelle stanze nel lontano 1944, avevano ospitato anche dei bambini ebrei e ci hanno fatto riflettere su come la vita delle suore in quel periodo fosse stata stravolta. Tutte loro si sono rimesse alla volontà di Dio e lo hanno fatto per salvare vite!
La fede ha guidato le menti di tanti uomini e donne in quel periodo e ci piace ricordare tra gli altri il grande ciclista Gino Bartali al quale, all’interno del Museo, è dedicata un’intera sezione. Bartali, sportivo insospettabile, nascondeva nella canna della sua bicicletta i documenti falsi stampati dai signori Brizi e faceva la spola tra Assisi e Firenze come corriere di questa rete clandestina.
A lui, lo Yad Vashem ha riconosciuto il titolo di “Giusto tra le Nazioni” per aver salvato circa 800 ebrei. Assisi vanta un numero elevato di Giusti tra le Nazioni: Don Aldo Brunacci, monsignor Placido Nicolini, padre Rufino Niccacci, Luigi e Trento Brizi, suor Ermella Brandi, suor Giuseppina Biviglia, Gino Bartali, assisano d’adozione, e don Federico Vincenti.
A loro si aggiunge l’opera di tanti uomini coraggiosi: il podestà Arnaldo Fortini, il colonnello tedesco Valentin Muller e il frate Padre Michele Todde, che correndo gravi pericoli, hanno dato un contributo significativo al salvataggio di tutti gli ebrei arrivati ad Assisi. Va sottolineato infatti che nessuno degli Ebrei rifugiati ad Assisi è stato ucciso.
Di questo la città di Assisi è molto orgogliosa e anche noi ragazzi siamo fieri di far parte di una comunità che in un momento molto difficile della storia si è adoperata per salvare uomini e donne destinati a morte sicura. L’opera di assistenza degli assisani per gli ebrei non è venuta mai meno e in un pannello esposto nel Museo si legge: “il coraggio di rischiare la propria incolumità per la salvezza altrui, rappresenta il più alto livello di amore per il prossimo”.
D’altronde chi meglio di noi assisani potava fare ciò? San Francesco docet!