di JASMINE RBOH –
Nel 1931, vent’anni prima che la seconda guerra mondiale decidesse le sorti del mondo, mentre soffiavano già i venti del fascismo in gran parte dell’Europa, Paul Nizan pubblicava il suo primo libro, Aden Arabia, che lo fece conoscere in tutto il mondo. La frase incipitaria di quest’opera è rimasta nel tempo particolarmente iconica, anche perché lui stesso con queste parole sintetizzava la propria esperienza di viaggio, oltre che la propria visione esistenziale: “Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che è l’età più bella della vita”.
Nizan aveva molto ragione ad affermare che è molto facile dire che a vent’anni la vita è bella e spensierata. Quando chiedete ad un adulto, soprattutto tra quelli che vi sono più cari, il loro consiglio verterà sempre sull’augurio di godersi questa gioventù perché, come amano dire, “non si ripeterà più”.
Da parte mia, compierò vent’anni l’anno prossimo, per cui mi sento tirata in causa dal discorso di Nizan. E, in effetti, sono d’accordo con lui, anche se non forse per le stesse ragioni alle quali lui stesso pensava. Il giudizio a proposito va, in realtà, messo in relazione con il contesto socio-ambientale in cui l’individuo si trova.
I figli della cultura occidentale, per il loro modello educativo, sono portati a comportarsi in un determinato modo: i bambini non vedono l’ora di crescere e diventare grandi, adulti e indipendenti, bruciando tutte le tappe, con fretta, senza sapere a quale marasma, fatto di gioie, dolori e sacrifici, stanno andando incontro.
Dall’altra parte del mondo, invece, è predominante un’altra cultura, diversa dalla nostra concezione delle relazioni e degli scambi interpersonali. In Afghanistan, ad esempio, non funziona come da noi. Non ci sono diciottesimi, aperitivi in darsena, feste o uscite il sabato pomeriggio in giro per negozi. I giovani afghani sono costantemente sotto il mirino, nel senso metaforico e concreto del termine. Nei territori vessati da bombardamenti quotidiani, da stragi sanguinarie, da lotte continue, i giovani sembrano incutere più paura di un talebano con un kalashnikovAK-47, perché dispongono, quando possibile, dell’arma più forte in campo: quella dell’istruzione, o magari di una penna, di un foglio e della voglia di fare.
Per questo motivo molti giovani, nostri coetanei, sono ostacolati. Malala Youzafzay, premio Nobel per la pace a sedici anni, da bambina terrorizzò i talebani con la sua proposta di educare i bambini, perché essi sarebbero potuti essere detentori di un futuro migliore. I suoi miopi oppositori le tesero un attentato per farla tacere, ma non ci riuscirono.
In conclusione, noi giovani che abitiamo in Occidente viviamo un misto confuso di spensieratezza e problematiche nel nostro quotidiano, ma queste nostre défaillancenon sono minimamente paragonabili a quello che accade ogni giorno nei paesi in guerra, magari nemmeno troppo lontano da noi.
Quindi Nizan ha davvero ragione: non è giusto generalizzare ed affermare, come sembrerebbe scontato, che i vent’anni siano sempre e solo bellezza, perché non sempre e ovunque essere giovani significa essere felici. C’è chi pensa a cosa fare nel weekend e chi, come Nizan, al sistema capitalistico afghano, al potere dei forti sui deboli e alle prepotenze contro alcuni “ventenni”, visti come nemici da abbattere.