a cura di Gioia Lancetti – classe II/E – scuola Secondaria di I grado –
È tempo di quaresima e la maestosa piazza del comune della città di Assisi è colma di persone: molte stanno facendo spesa per prepararsi alla Pasqua, mentre altre stanno conversando in compagnia. Due ricche signore, appartenenti all’agiata borghesia, si scambiano due parole:
“Buongiorno!” dice Giuseppa, una donna dai capelli color oro legati in un’acconciatura bassa, gli occhi di un azzurro sfumato color cielo, e dal vestito color rosso rubino, ornato da qualche merletto in filo d’oro.
“Buongiorno anche a voi!” ricambia l’altra donna di nome Francesca, conosciuta come la moglie di uno degli uomini più importanti di Assisi: anch’essa è molto bella, con gli occhi verdi che le fanno risaltare il viso tra i capelli bruni abboccolati. È vestita in modo più semplice, ma nello stesso tempo elegante e raffinato, indossa un vestito marrone chiaro, rifinito con merletti e bottoni dorati.
“In questo gran pienone di gente, siete riuscita a comprare qualcosa per il banchetto pasquale?” chiede Francesca.
“Certo che no! Ho incaricato la mia serva… ma sicuramente toccherà farlo a me, in quanto quella non è molto avveduta nel fare la spesa.”
“Capisco.”
“Avete notato che non ci sono in giro gli Ebrei?”
“Sì… fortunatamente; non li sopporto più, me li ritrovo sempre tra i piedi” dice in tono alquanto scontroso Giuseppa.
A quella risposta Francesca decide di chiudere l’argomento, in quanto non ama esprimere suoi giudizi sulla faccenda, soprattutto con Giuseppa, una delle donne più polemiche della città; così la liquida in modo educato ma veloce.
Quando torna a casa, la signora trova suo marito seduto sulla poltrona di velluto rosso, nel suo studio, dove sta parlando al comitato di rappresentanza del comune di Assisi riunito nella sua lussuosa dimora; decide di non entrare a disturbare, ma dalla stanza del camino riesce a sentire quasi tutta la conversazione.
“E’ ora di sbarazzarci di questi Ebrei; stanno creando diversi sconvenienti ai nostri cittadini e non rispettano il patto di non esagerare nell’applicare tassi d’interesse sui prestiti” sentenzia Fernando, suo marito, nonché priore del Comune.
“Hai perfettamente ragione!” Ribadiscono in coro gli uomini presenti.
Francesca, a sentir quelle parole, fa un sospiro di sollievo, in quanto pensa che non avere strozzini intorno può essere soltanto un bene; in seguito si reca nella camera del figlio Matteo per cullarlo prima del riposo notturno.
Il mattino seguente, come suo solito, la donna va a fare una passeggiata in piazza con suo figlio. Girato l’angolo e arrivati nel salotto cittadino, notano un trambusto di gente, tra cui anche banchieri Ebrei e, al centro, un gruppo di frati francescani, tra cui Barnaba Manassei, Bernardino da Feltre, frate Agostino e Fortunato Coppoli, i quali stanno predicando rivolgendosi agli Ebrei usurai con frasi molto forti:
“Voi somigliate a uno scarabeo che accumula lo sterco mentre si muove, e a mano a mano forma una palla immonda, ma poi arriva l’asino, cioè il diavolo che la distrugge! Di fronte al denaro siete come degli orsi e dei cani!”
Dopo aver sentito codeste forti parole e aver visto il complesso di gente esterrefatta, Francesca torna subito a casa e avverte il marito della predicazione che sta avvenendo nella piazza. Il marito, a sentir quelle parole, dice in tono stupito:
“Per fortuna non siamo i soli a combattere l’usura!”
Subito dopo, il gentiluomo si reca nella sede del Comune, situato nella piazza, a pochi passi dal duomo di San Rufino. Appena arriva, annuncia in tono molto serio ai convocati:
“Cari membri del comitato, abbiamo trovato nuovi alleati e forse, se uniamo le forze, riusciremo a cacciare definitivamente gli Ebrei, approfittatori usurai, nonchè rovina della nostra popolazione e della nostra città. Dalla nostra parte abbiamo anche i frati francescani e, se approvate, ho deciso di convocare una riunione speciale con questi Francescani oggi stesso a metà pomeriggio, per un sano confronto.”
Il pomeriggio costoro si riuniscono e costruiscono un piano d’attacco molto diverso da quello che pensavano, per riuscire a sconfiggere gli Ebrei usurai e nel contempo aiutare la popolazione povera, che ha di suo, per poter vivere, molti meno beni dei borghesi.
Quando torna a casa, Fernando si rivolge a Francesca:
“Mia adorata moglie, oggi al consiglio abbiamo parlato e parlato, finchè a Fortunato Coppoli e a Barnaba Manassei, appartenente alla nobile famiglia feudale ternana dei Manessei e vicario provinciale dei frati umbri, due frati Francescani che questa mattina in piazza hanno predicato contro gli usurai, è venuta un’idea straordinaria: hanno pensato di creare un Monte di Pietà, un’istituzione caritatevole per soccorrere alle necessità dei più poveri.
Qui i bisognosi lasciano un pegno, che viene poi riscattato, in cambio di una somma di denaro a cui viene applicato un tasso di interesse molto basso rispetto a quelli che vengono chiesti ai banchi degli Ebrei. Ai cittadini vengono restituiti i pegni che hanno portato, appena riescono a sanare il debito contratto. Chi andrà oltre la scadenza di sei mesi o un anno, dovrà rinunciare al pegno che verrà venduto all’asta, il cui incasso andrà a beneficio del Monte di Pietà.
Per rendere il tutto più ufficiale, in un registro vengono segnati tutti i beni depositati e riscattati, con i relativi nomi dei richiedenti. Verrà eletto un unico funzionario responsabile del Monte, che dovrà essere un forestiero, che giurerà di esercitare bene il lavoro e senza frode e favoritismi personali. La prima quota, per iniziare l’attività del Monte, verrà versata dal Comune.”
“Che idea magnifica… con questa istituzione renderemo Assisi una città migliore, ma soprattutto faremo delle opere di bene per i cittadini più poveri” esclama Francesca entusiasta.
Così, dopo qualche settimana di allestimento, nel marzo 1468 sorge il primo Monte di Pietà in Assisi, situato a piano terra, nel secondo corpo di fabbrica del palazzo dei Priori; il Comune ha messo a disposizione un fondaco di sua proprietà, in quanto è in una zona centrale e accessibile a tutti.
I cittadini sono entusiasti, hanno apprezzato moltissimo il gesto fatto dal Comune e dai Francescani; il Monte di Pietà viene utilizzato fin da subito, soprattutto dai piccoli e medi commercianti, che per aprire le botteghe, avviare le proprie attività, acquistare materie prime per il proprio lavoro si avvalgono dei prestiti convenienti del Monte di Pietà, appena nato.
Gli Ebrei, invece, si trovano svantaggiati dalla presenza di questa istituzione, in quanto chi usufruisce del banco dei pegni, trova più vantaggiosi i servizi del Monte di Pietà rispetto ai loro prestiti. Al punto che, gli Ebrei usurai si sentono costretti ad emigrare nel nord della penisola, lontano dallo Stato della Chiesa, dove poter ancora esercitare la loro antica professione.