di Edoardo Sozzo e Ivan Mancarella –
Marinella Anaclerio, regista e direttrice de La compagnia del Sole di Bari, ha incontarto gli stdenti del De Giorgi e ha parlato loro de “Il linguaggio scenico dal teatro plautino alla Commedia dell’Arte“. Li ha coinvolti in una prova di recitazione dell’opera goldoniana “Il servitore di due padroni”. Per il giornale scolastico LeCosimò ha accettato di sottoporsi ad un’intervista nella quale ci ha trasportato nel suo magico mondo fatto di maschere. Le parole che ci ha detto sono anche visibile nella video intervista realizzata da Ivan Mancarella.Com’è nata la sua passione per il teatro? Come è stato il suo primo approccio con il mondo del palcoscenico? Diciamo che la passione per il teatro viene dalla mia famiglia. Mia madre ne era appassionata, e già quando avevo dall’età di sei anni, mi fece assistere a numerose rappresentazioni teatrali, prima fra tutte Madame Butterfly. Da lì, fu subito amore! Quello che mi incantò maggiormente, fu sicuramente la lirica, che mi spinse ad approfondire e ad apprezzare questo nuovo genere di trasmettere emozioni.
Possiamo dire che il mio approccio con la recitazione, invece, fu un po’ strano: sin da piccola, suonavo il pianoforte, ed ero anche abbastanza brava! Durante i saggi, la mia esibizione perdeva buona parte della sua bellezza, a causa di ansia e tensione, che non mi permettevano di tirar fuori il meglio di me!
La mia insegnante, consapevole delle mie capacità, mi disse così di iscrivermi ad un corso di teatro per superare questo mio blocco mentalepsicologico, che mi precludeva la buona riuscita del saggio.
A causa di un grave problema alle mani, ho dovuto abbandonare il pianoforte, però in compenso, avevo scoperto un nuovo, fantastico mondo.
A proposito, facendo riferimento ai suoi spettacoli, non può passare inosservato il ruolo che ha in essi la musica. Lei infatti ha collaborato in opere liriche con grandi maestri, pensiamo a Tony Servillo e il maestro Scardicchio. Ci viene allora spontaneo chiederle, che rapporto c’è tra lei e la musica. Avendo in qualche modo una vicinanza alla musica, non solo pianistica, ma anche sinfonica e lirica, ho sviluppato una grande sensibilità ai suoni e ai ritmi. Basti pensare che sono cresciuta con mia madre che amava la musica classica e mio padre che adorava il jazz e il rock, per cui ho una visione abbastanza ampia del panorama musicale. Negli spettacoli, per me la musica è una seconda regia parallela, che si intreccia e aiuta la regia teatrale.
Ha curato la regia di rappresentazioni teatrali di opere composte da autori di epoche differenti, quali Plauto, Shakespeare e Pirandello, i quali hanno tutti un elemento in comune: LA MASCHERA. Ci può spiegare come si è evoluta la funzione della maschera nella storia del teatro? La maschera è sempre stata uno strumento attraverso il quale l’essere umano poteva esibirsi, e dare l’idea che non era lui, ma un altro personaggio.
Storicamente parlando, la maschera nasce primanel teatro greco, poi con Plauto, come anche amplificazione della personalità; il suo ruolo è la sua funzione è cambiata notevolmente negli anni: a seconda delle culture, ha perso la sua caratteristica di distacco, per diventare qualcosa di riconoscibile. La maschera dunque rappresentava un “filtro” tra me e Dio stesso.
Nella commedia dell’arte, ad esempio, vedendo la maschera di Pantalone, io riconoscevo Pantalone, indipendentemente da chi c’era sotto la maschera.
Pirandello parlava di “maschere nude”, ovvero le maschere che noi indossiamo per essere qualcuno che in realtà non siamo, mostrando ai nostri simili, solo un lato della nostra personalità.
Il suo curriculum è ricco di numerose esperienze dietro le quinte, come regista, ma anche come attrice in teatro e sul grande schermo, luoghi che presentano numerose analogie, ma anche differenze. Potrebbe parlarci di cosa accomuna queste esperienze, e quali invece sono le loro divergenze? Sono tante esperienze, anche diverse tra di loro. Io ho studiato recitazione, e dopo due anni che lavoravo come attrice, mi è stata proposta la regia de “La notte degli assassini” testo contemporaneo di Jose Triana, messo al bando, perché troppo rivoluzionario, in quanto forniva chiaramente il sentimento di oppressione americana caratteristico della Cuba “early 2000”. Ho anche delle esperienze come assistente alla regia. Ero un po’ titubante, perché non avevo tantissima esperienza nella direzione di un film.
Parlando del rapporto tra regista e testo, possiamo affermare che, quando il regista decide di mettere in scena un’opera piuttosto che un’altra, è perché entra in empatia con i personaggi caratterizzanti il film stesso, li sente propri.
Più o meno consapevolmente ho affrontato diversi metodi di pedagogia teatrale, in quanto gli attori reagivano in maniera differente a quello che io dicevo. C’è chi accettava i miei consigli, e chi, invece, li rifiutava.
Per concludere, lei condivide la sua passione del teatro con noi giovani, saprebbe suggerirci, in che modo possiamo avvicinarci al mondo del teatro? Io credo che tutti dovrebbero avvicinarsi al mondo del teatro. Nei paesi anglosassoni, le adesioni a corsi di recitazione, sono davvero tante, perché il teatro costituisce proprio una materia scolastica da insegnare.
Il teatro non è l’esibizione di chi sei, ma è un modo per cercare se stessi e stare insieme con gli altri, per condividere un pensiero, che a sua volta verrà condiviso con il pubblico.
Strehler diceva che lo spettacolo è quell’arcobaleno che si crea tra il palcoscenico e la sala, allora…essere creatori di arcobaleno è bello!