di MARGHERITA MURIALDO – Alzo la mia voce, non perché io possa gridare, ma in modo che coloro che non hanno una voce possano essere ascoltati (Malala Yousafzai).
L’ 8 marzo si celebra la festa internazionale della donna, ricorrenza istituzionalizzata negli Stati Uniti nel 1909, in alcuni stati europei nel 1911 e solo nel 1922 in Italia. In questa data si intende ricordare sia le conquiste in campo sociale, economico e politico ottenute dal movimento femminile in questo e nel secolo precedente, sia le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono ancora oggetto in quasi tutte le parti del mondo.
Si occupa di risolvere queste ed altre criticità il movimento femminista, che nel tempo ha continuato a rivendicare pari diritti e dignità tra donne e uomini, ritenendo che le prime siano state e siano ancora, in varia misura, discriminate e ritenute inferiori. Convinzione profonda delle attiviste è che il sesso biologico non dovrebbe essere un fattore predeterminante che modella l’identità sociale o i diritti sociopolitici o economici della persona. Non è loro idea, invece, affermare la superiorità del sesso femminile.
Il problema deve essere ancora vasto, se, come ci ha dimostrato ultimamente la cronaca, molti uomini di potere hanno perpetrato atti di violenza e prevaricazione sulle donne con cui hanno avuto a che fare. Per fare un esempio, si può raccontare la storia dell’americano Larry Nassar, che a soli cinquantaquattro anni ha molestato 160 atlete, approfittando della sua posizione di medico sportivo ed ora dovrà scontare una condanna a vita, tra i 40 e i 175 anni di prigione.
O che dire, invece, dell’ambiente hollywoodiano, dove un attore famoso come Bill Cosby, la star del telefilm I Robinson, è stato accusato nel 2014 da trentacinque donne di averle drogate e successivamente violentate? Tristemente famoso è anche il caso del produttore Harvey Weinstein, colpevole, secondo gli addebiti, di aver approfittato di un centinaio di attrici in erba o già affermate.
Ma, senza volare oltre oceano, anche nella società europea per molto tempo la donna è sempre stata vista come colei che deve occuparsi dell’educazione dei figli, cucinare e tenere pulita la casa, permettendo all’uomo di tenere in piedi la famiglia e prendere tutte le decisioni importanti in ambito finanziario. Le cose fortunatamente sono, soprattutto negli ultimi anni, migliorate: infatti, sono molte le donne che hanno fatto carriera e che, sostenendosi tra di loro, hanno lottato per la parità dei sessi, come Malala Yousafzai, Emma Watson, Beyoncé, Marilyn Streep, Rihanna, Hillary Clinton e Michelle Obama.
Ciononostante, la donna è ancora ritenuta inferiore all’uomo, ad esempio in ambito lavorativo, dove spesso percepisce un salario minore rispetto ad un uomo che svolge lo stesso lavoro. A volte, se rimane incinta, viene licenziata, perché l’azienda la considerebbe un peso. Ci si deve augurare che molti altri paesi seguano l’esempio dell’Islanda, dove il 2 gennaio 2018 la parità dei salari tra i due sessi è diventata legge.