Di Viviana Stefanini
Come dovrei apparire?
Come dovrei pensare?
Come dovrei comportarmi?
Come dovrei essere?
Come posso cambiare per adattarmi alla società? Perché la società non può adattarsi a me? Perché ci celiamo dietro agli stereotipi, dietro all’apparenza, dietro a un modello, che non dice assolutamente nulla di noi?
Dopotutto cosa cambia tra una mano dalla pelle candida e una dalla pelle scura, quando esse sono state forgiate al solo scopo di stringersi e sostenersi a vicenda?
Nessuno dovrebbe temere di essere sé stesso, nessuno dovrebbe credere di non rispettare degli standard che gli sono stati imposti, dovremmo guardarci allo specchio e sorridere per ciò che siamo. Non siamo nati per essere qualcun altro, siamo nati per essere noi stessi, con la nostra pelle, i nostri “difetti” e le nostre credenze. Non dovremmo basare tutta la nostra vita su degli stereotipi, spesso fasulli, che destinano delle persone ad essere schernite dalle masse. La verità è che abbiamo paura di chi è apparentemente diverso da noi e la paura porta all’odio razziale. Ciò succede da secoli, gli eventi si ripetono all’infinito e malgrado ciò non siamo in grado di imparare dal passato.
Ad esempio, sappiamo tutti del massacro degli ebrei durante la seconda guerra mondiale, lo ricordiamo tutti gli anni, guardando film, leggendo libri, ascoltando testimonianze di persone che hanno subito l’avversione dei loro contemporanei, eppure spesso sembra tutto così inutile…
Un bambino stava chiuso in un campo di concentramento meno di un secolo fa, chiedendosi che cosa avesse fatto di male per meritarsi tutto ciò che gli accadeva. Era solo, il freddo gli congelava le ossa, lo stomaco perennemente vuoto, come il suo sguardo; solo sogni infranti e il ricordo della sua fanciullezza rubata. Le gote infossate, le gambe che a malapena lo reggevano in piedi, la pelle piena di lividi e graffi. Aveva pochi anni e aspettava solo di morire per raggiungere i suoi genitori, la sua sorellina morta di tifo e il suo pupazzo, che avevano strappato dinnanzi ai suoi occhi. Anche se fosse sopravvissuto a quel martirio la sua esistenza non sarebbe mai tornata come prima: avrebbe rivisto per sempre la vita che svaniva dagli occhi delle persone amate, il sangue impregnato, come inchiostro indelebile, sulle sue piccole dita, la morte che ingurgitava senza pietà tutto ciò a cui lui era affezionato. Avrebbe sempre sognato il rumore delle pallottole che si scontrano con la carne, le urla di dolore, i gorgoglii e i rantoli di chi se ne stava andando per sempre. Avrebbe cercato di andare avanti con l’orgoglio percosso continuamente dai drammi di quel passato indimenticabile. Tutto ciò che ha subito è frutto dell’uomo, frutto del razzismo, che incombe su di noi anche nell’attuale società moderna. Pensiamo che ciò che è accaduto un tempo non possa più accadere, ma se solo si cerca con cautela, si può trovare odio razziale ovunque. Si cerca di ricordare tutto ciò con giornate come quella della memoria, quella del ricordo delle foibe… ma non è sufficiente, il dolore che proviamo ricordando questi eventi in una giornata non è minimamente paragonabile a quello che ha provato chi ha subito l’odio razziale.
Ora ditemi, vi sembra giusto? Come vi sentireste se foste insultati, picchiati, torturati, uccisi, solo per le vostre origini o per le vostre credenze? Come vi sentireste se tutti mettessero da parte ciò che siete come persona, riducendosi a giudicarvi unicamente per apparenza, religione, orientamento sessuale e così via? Nessuno ne sarebbe felice, eppure continuiamo con questo incessante giudizio, questa continua ricerca di ciò che non va bene negli altri, quando dovremmo solo cercare del buono. Ma voi, che vi credete tanto superiori, voi, che vi credete delle brave persone e siete i primi a restare indifferenti o addirittura ad agire ingiustamente contro chi ritenete inadatto ai vostri standard; voi, mettetevi nei panni di quel bambino e di chiunque venga trattato ingiustamente per un qualcosa che non può cambiare di sé stesso.
La feccia della società non sono le persone diverse da noi, ma siamo noi stessi quando non accettiamo queste differenze.