di Sara Di Benedetto – Era l’11 Marzo 2020 e la primavera era vicina.
E mentre i fiori sbocciavano, il sole splendeva e i ragazzi passavano tutta la giornata davanti ad un computer – per studiare, e non per giocare -, tutti furono messi in quarantena obbligatoria.
I nonni, le famiglie ed anche i giovani.
Allora la paura diventò reale.
E mentre le rose sbocciavano, le file dinanzi i supermercati diventarono sempre più lunghe, le attese interminabili.
Ma questo la primavera non lo sapeva.
E mentre si riscoprirono i valori ormai perduti e le famiglie si divertivano a passare del tempo insieme, preparando dolci e sfornando pane, le giornate iniziarono ad allungarsi.
E mica lo sapevano le persone che di lì a poco avrebbero visto i papaveri rossi. Perché si sa, i papaveri son alti, alti, alti.
E nel frattempo gli uffici chiudevano e tornarono le rondini.
Non c’era più spazio negli ospedali e la gente si ammalava, ma qualcuno scese a patti con la sua ignoranza.
E mentre la Francia, il secondo focolaio d’Europa, ci accusava di aver preso “misure che non hanno permesso di arginare l’epidemia”, impazzavano sul web foto di medici, distrutti, allo stremo delle forze, che supplicavano gli italiani di stare chiusi in casa.
E al diavolo le “comprovate esigenze“.
E mentre tutti i Paesi chiudevano le frontiere agli italiani e le mascherine scarseggiavano, ragazzi – ma anche adulti – mal sopportavano l’impossibilità di poter uscire.
E quindi, cosa ci può interessare di un decreto o delle parole di Conte?
E fu così che la gente uscì senza ritegno. L’illegale aveva il sapore della libertà.
E mentre i ragazzini si divertivano a giocare ed ad intrattenersi sugli scalini di una chiesa e degli uomini si dilettavano nel bere birra in piazza, c’era chi lottava tra la vita e la morte.
Ma questo la primavera non lo sapeva.
E presto sarebbe arrivata l’estate.
E la fine.