di Francesco D’Antuono Ahimè, anima mia,/ ruggendo sulle sponde del mare/ un gemito non muovi, un sospiro non produci, un sogno non riponi./ Ahimè, vita mia, che disperdi la tua collera in mezzo a cadaveri fuggenti/ che di stenti sopravvivi/ per un’ora, mezz’ora, quindici minuti e vai via./ Voli sopra le grotte in cui ci hanno disperso,/ in cui ci hanno lanciato come aeroplani di carta/ che planano nel terrore, nell’oscurità./ Ahimè patria mia,/ il luogo nel quale avevamo riposto le nostre carni,/ la nostra coscienza,/ ci hanno lasciati prede dei leopardi affamati,/ che ci hanno ferito, divorato da tutti i lati;/ e io morirò qui, come un morto di fame,/ non rivedrò la mia giovine Italia,/ ma rimarrò nelle foibe/ aspettando solo che la morte arrivi,/ mi prendi,/ e mi porti via/ addio, Patria mia!