La cavalleria medievale è stata una classe nobiliare della società del Medioevo, che identificava i guerrieri a cavallo a quali un sovrano o un signore ne aveva riconosciuto il titolo, ed era caratterizzata da un ideale di vita e codice di condotta.
La cavalleria seguì l’evoluzione che la società, l’economia e la tecnica bellica ebbero nel Medioevo.
Fu una evoluzione lenta ma costante, ma sempre coerente con i cambiamenti sociali ai quali era legata.
Nacque nella tarda antichità, quando la crisi che colpì i liberi coltivatori romani e indebolì la potenza della fanteria legionaria. Quella potenza legionaria che aveva conquistato un impero iniziò a decadere con la decadenza di dell’uomo romano che ne era stato la base e la forza, fino a che dall’incontro con i barbari, le loro usanze e con la loro civilizzazione ebbe origine il cavalierato, diffusosi poi con il feudalesimo.
Si formò spontaneamente un gruppo elitario, che si autocelebrava anche attraverso il racconto delle proprie imprese, sempre eccezionali, e anche attraverso quella che sarà una vera e propria liturgia dell’iniziazione e dell’accettazione in un circolo sempre più chiuso. Ci penserà più tardi la letteratura epica a idealizzarne e celebrarne gli aspetti eroici, il più delle volte esagerati.
Sorse, anche, l’esigenza di distinguersi e di rendersi riconoscibili sia in battaglia che nei tornei, e quindi si diffuse l’uso di colori e di emblemi posti sullo scudo del cavaliere, che daranno origine all’Araldica.
Lentamente si consolidò quella che era una fraternitas, la cavalleria medievale, con regole sempre più rigorose che subiranno, tuttavia, continue eccezioni. La separazione dal mondo dei contadini aumentò sempre di più, che vedeva da una parte pochi eletti, dall’altra la massa disprezzata e sfortunata degli inermi o poveri che avevano una sola possibilità di riscatto: mettere la propria vita in gioco nei campi di battaglia al servizio di qualche Signore.
Quello che il cavaliere medievale coltivava era un mito, che daranno luogo ad una vera e propria classe sociomilitare particolarmente rigida, alla cui base c’era lo spirito di gruppo e di corpo.
Il servizio militare, oltre ai rischi, offriva notevoli vantaggi a quei soggetti che, per capacità o fortuna, ne sapevano approfittare. Le opportunità di arricchimento a seguito delle azioni belliche erano grandi, sia attraverso i bottini rapinati sia attraverso il riscatto dei prigionieri, specie se nobili. Ciò costituiva un valido compenso per il rischio di perdere la vita, rischio sempre presente.
Il desiderio più grande per un cavaliere era quello di passare dal servizio presso altri alla formazione di una propria dinastia, e, magari, acquisire una propria signoria o conquistare un proprio regno. Fu quello che seppero fare i Normanni, vere e proprie bande di avventurieri al servizio di signori in guerra tra loro, signori che prima aiutavano e ai quali poi si sostituirono approfittando della favorevole situazione politico-militare dei territori che occupavano.
I cavalieri, come ben sappiamo, erano coloro che nel Medioevo aiutavano gli altri e il proprio Signore. Ma non ci siamo chiesti mai il motivo di questa fedeltà: i cavalieri erano dei ragazzi addestrati da quando avevano 7 anni per essere fedeli e salvare le persone.
Alla fine del tirocinio avveniva l’investitura tramite una solenne cerimonia. La sera prima il giovane veniva lavato e rasato. Vestito con una tunica bianca (simbolo di purezza), un manto rosso (emblema del sangue che era disposto a versare in nome di Dio) e una cotta nera (che rappresentava la Morte di cui non doveva aver timore), veniva condotto in una cappella, dove avrebbe trascorso la notte pregando. La mattina seguente, dopo la benedizione del sacerdote, il cavaliere a cui aveva fatto da scudiero, con il piatto della spada lo colpiva leggermente tre volte sulla spalla, pronunciando la formula di rito: “In nome di Dio, di San Michele, di San Giorgio, ti faccio cavaliere”. Con questa cerimonia diventavano cavalieri e giuravano fedeltà al loro Signore.
Chi diventava cavaliere?
Solo i nobili potevano diventare cavalieri; infatti, facevano parte della cavalleria, soprattutto i cadetti, ossia i figli dei ricchi esclusi dall’eredità dal feudo.
Alla morte del feudatario, il feudo passava in eredità al figlio primogenito, gli altri figli si dedicavano alla vita religiosa o diventavano cavalieri.
I giovani che facevano questa scelta venivano mandati alla corte di un feudatario amico per imparare come comportarsi in società, per imparare a cavalcare e a combattere. Dopo essere stato paggio presso una dama, a 14-15 anni, il giovane diventava scudiero di un cavaliere e lo seguiva nei combattimenti; a vent’anni, infine, veniva nominato cavaliere con una solenne cerimonia.
Dal secolo XI si assistette, anche per effetto della generale ricostituzione della società europea, ad un ingentilimento dei costumi dei cadetti, che si professavano protettori dei deboli, delle vedove e degli orfani, devoti ad una domina alla quale prestavano giuramento di fedeltà.
In generale il codice cavalleresco, cosa che poi ha contraddistinto il concetto di “cavaliere” nell’immaginario collettivo, ruotava intorno ad alcuni valori e norme di comportamento, come la virtù, la difesa dei deboli e dei bisognosi, la verità, la lotta contro coloro che venivano giudicati malvagi e gli oppressori, l’onore, il coraggio, la lealtà, la fedeltà, la clemenza e il rispetto verso le donne.
Caterina Sardella 1^H