Rotari fu il settimo re longobardo tra il 636 e il 652. Apparteneva alla stirpe ariana degli Arodingi a capo di una famiglia stanziata presso Brescia.
Fu eletto re alla morte di Arioaldo sposandone la vedova, Gundeberga, figlia di Teodolinda e di fede cattolica, che lo portò a convertirsi al cattolicesimo, pur mantenendo alcune caratteristiche della fede Ariana.
Paolo diacono ce lo descrive come “uomo di grande forza, che seguiva la via della giustizia, ma tuttavia non camminò sulla retta traccia della fede cristiana, perché si macchiò delle perfidie dell’eresia ariana”.
Tuttavia Rotari perseguì una politica di avvicinamento a Roma, non tanto per ragioni religiose ma per ragioni politiche e di influenza nell’ambito delle dispute teologiche.
La biografia e la memoria di Rotari si concentrano in massima parte su due aspetti: la sua figura di condottiero e di legislatore. Il primo profilo lo vide scontrarsi inizialmente con disordini e ribellioni interne. Ma riuscì a rafforzare l’autorità regia contro i duchi e ampliò le conquiste del Regno con una politica più aggressiva. Il sovrano condusse infatti numerose campagne militari, che portarono quasi tutta l’Italia settentrionale sotto il dominio longobardo. In questo modo l’Italia appariva ben ripartita fra il regno dei Longobardi – con centro a Pavia – e l’Impero con l’Esarcato di Ravenna, Romagna e Marche, Roma e il mezzogiorno tranne Benevento.
Molto importante fu la sua attività come legislatore per l’Editto da lui emanato.
L’Editto di Rotari venne promulgato a mezzanotte del 22 novembre 643 ed è un’organica raccolta di leggi del popolo longobardo, secondo la tradizione germanica, anche se sono presenti influssi del diritto romano. Il testo venne scritto in un latino piuttosto imperfetto, ma con una notevole tecnica legislativa: “L’Editto è steso in latino, come tutte le leggi barbariche del continente. Motivo ne fu probabilmente l’incapacità dei Longobardi di tradurre in segni grafici la loro lingua, ma anche il fatto che essi stessi non comprendevano più, dopo settanta anni di permanenza in Italia, le antiche espressioni della lingua longobarda”.
Nel complesso si può considerare come un insieme di codici aventi lo scopo, tra i molteplici aspetti, di sostituire alla faida, ossia la vendetta privata contro chi aveva commesso un delitto, l’istituto della composizione detta guidrigildo, vale a dire il versamento da parte del colpevole di una somma in denaro proporzionata all’entità del reato e al rango della vittima. Rispetto alla pratica della faida, dunque, si trattava di un notevole progresso per risolvere i conflitti tra diversi soggetti e i loro gruppi familiari.
Esso venne pubblicato nell’Assemblea di Pavia e contiene 388 capitoli e tratta in gran parte di diritto penale, ma anche di diritto privato. Esso considera i reati politici (cap. 1-14), reati contro le persone (15-145) e contro le cose (146-152); diritto di famiglia, di successione e reati contro il matrimonio (153-226), i diritti reali (227-244) e di obbligazione (245-252), reati minori e danneggiamenti (253-358). I capitoli 367-388 pare siano stati aggiunti dopo, per riparare ad errori o mancanza. Fu in primo luogo il diritto penale a rappresentare la maggior parte dell’Editto incentrato nel capitolo 74 con il guidrigildo che sostituiva la faida.
Vendetta chiamava vendetta e la guerra privata poteva trascinarsi per generazioni. Se ciò era stato tollerato finché mancava un potere centrale, il re, che imponesse con la sua volontà la pace, non fu più ammesso quando le energie e le vite sprecate in quelle faide dovevano invece essere dedicate ad imprese necessarie a tutto il popolo longobardo. Si trattava infatti di elementi attivi che venivano sottratti alle spedizioni militari. Naturalmente chi accettava la composizione e poi attuava ugualmente la vendetta, passava dalla parte del torto e doveva pagare il doppio di quanto ricevuto a suo tempo.
L’Editto è prevalentemente germanico, ma contiene parecchie tracce di diritto Giustinianeo, per quanto riguarda gli impedimenti matrimoniali, i rapporti tra padrone e servo, ecc…
Alla base dell’Editto quindi il tentativo di garantire la pace sociale e rafforzare la posizione monarchica. Non è casuale, infatti, che i reati politici, con in testa l’attentato alla vita del re, venissero trattati con la massima attenzione. Erano numerose le norme che rivelavano una forte determinazione nell’assicurare l’ordine e il potere regio, attraverso le leggi.
D’Alessio 1^H