Di Elena Carbutti – classe III, sez. L
Compagni, quanto sono importanti per noi i nostri diritti? Quanto ci infervoriamo, adiriamo, arrabbiamo quando li vediamo calpestati, sminuiti, insieme al nostro valore, alla nostra identità, a noi? Moltissimo, oltre ogni immaginazione: ci è stato insegnato fin da quando eravamo nella culla che, a prescindere da nazionalità, opinioni, idee, caratteristiche fisiche, siamo esseri umani e come tali dobbiamo essere trattati e tutelati; fin da piccoli ci sono stati elencati i nostri diritti: il diritto alla vita, alla parola, all’istruzione e a tanto altro ancora. “Diritti” è proprio questo il fulcro della questione, questo il dettaglio, apparentemente banale, alla base di una differenza immane. Pensiamo di vivere in Libia o Corea del Sud, oppure in un Italia di cinquant’anni fa: questa è la situazione in cui si trovano gli animali di “Animal farm” di Orwell. Sfruttati, impauriti, tormentati, giunti allo stremo delle forze, non sanno nemmeno cosa significhi avere dei diritti. Ad un certo punto, però, vi è un discorso: parole vitali destinate a cambiare profondamente il loro modo di vedere le cose: il discorso del Vecchio Maggiore. In questo discorso, che appare tanto rivoluzionario, vengono ripetute cose che noi ora consideriamo scontate: si dice che tutti gli animali hanno diritto a mangiare, riposarsi, a cure mediche, a rispetto, a essere felici, a vivere. Io credo che tutti abbiano il diritto di essere rispettati come esseri viventi, prima che come uomini, piante o animali. Nessuno può ucciderli o malmenarli, lasciarli morire di fame o dare loro ordini, calpestarli con la disinvoltura con cui si respira o si cammina. Nessuno può sfruttarli, né tantomeno decidere della loro vita. Può sembrare un discorso un po’ strano tenendo presenti che i beneficiari sono animali, tuttavia proviamo a sostituire loro gli ebrei tedeschi o i neri del Sudafrica. Schiavizzati, torturati, privati di diritti e identità, rispettivamente da tedeschi nazisti o bianchi europei, basandosi su un principio di razza. Immaginiamo che siano loro a vivere nelle condizioni degli animali della fattoria, ignari addirittura dell’ingiustizia di cui sono vittime, e cerchiamo di comprendere l’importanza dei diritti. Senza diritto, ci sarebbe il privilegio, di cui godono pochi individui disinteressati ad altri che non siano loro stessi, per i quali coloro che comandano non sono che rozzi burattini a cui tagliare i fili quando non sono più utili. Il Vecchio Maggiore smentisce poi qualunque voce circa la bontà dell’uomo, qualunque affermazione sulla sua utilità per gli animali. Egli infatti ritiene menzogne tutti i discorsi in cui si afferma che “la prosperità degli uni è la prosperità degli altri” e io non posso che dirmi d’accordo. A chi ritiene che il signor Jones tenga agli animali o sia loro utile poiché li nutre è facile rispondere: basta sottolineare il fatto che lui lo fa solo per poter continuare a guadagnare sul loro lavoro e che lo fa solo fin quando gli sono utili, lavandosene le mani e addirittura eliminandoli in prima persona quando non può più trarre niente da loro. Proviamo a pensare per esempio ai contadini alle dipendenze dei latifondisti nel Sud Italia di fine Ottocento… Cosa fare in queste situazioni, come porre rimedio ad un problema così impellente e difficile e vitale? Il Vecchio Maggiore propone la Rivoluzione… Tuttavia non so se sia davvero la soluzione migliore. Senza contare i possibili pericoli a cui si esporrebbe una popolazione già stremata, si potrebbe peggiorare la situazione invece che migliorarla: infatti, se i popoli non capiscono i loro diritti, uscirebbero spaesati da un tale cambiamento radicale, cosicché ben presto qualcun altro si ritroverebbe al potere e potrebbe manovrarli a suo piacimento. A mio parere, di maggior efficacia, sarebbe un passaggio graduale, una serie di riforme che portassero innanzitutto alla presa consapevolezza da parte della popolazione di cosa significa avere dei diritti. La violenza è un’arma potente, ma l’uguaglianza, l’unità e l’istruzione lo sono di più.