//La fortezza dello Spielberg, dove morirono i patrioti italiani

La fortezza dello Spielberg, dove morirono i patrioti italiani

di | 2020-05-11T21:28:06+02:00 11-5-2020 21:28|Alboscuole|0 Commenti
Fondata nel XII secolo dal re ceco Premislao Ottocaro II (1155-1230), la struttura doveva servire sia da residenza sia da postazione di difesa per proteggere l’allora città reale di Brno. Il castello fu costruito nel 13 ° secolo come residenza del sovrano. Nel corso del tempo, il ruolo del castello Špilberk era cambiato. Il forte era diventato il più duro carcere della monarchia austriaca. Nel 1783 Giuseppe II (1741-1790), imperatore del Sacro Romano Impero, decise che parte della fortezza dello Spielberg dovesse diventare la prigione più dura della monarchia asburgica. Prima di diventare il carcere più temuto dell’impero asburgico lo Spielberg per secoli era stato una fortezza a difesa della citta di Brno. Il significato letterale del suo nome è “monte dei giochi”, poiché anticamente i signori della Moravia vi celebravano in alcune ricorrenze dell’anno feste e manifestazioni ludiche. Al massiccio edificio si accedeva attraversando un ponte protetto su di un lato da un bastione e sull’altro da un fossato. Sulle facciate si aprivano strette finestrelle munite di inferriate da cui si poteva osservare la città sottostante e le colline boscose. Il carcere si componeva di due bracci. Uno, eretto nel 1742 durante il regno di Giuseppe II, ospitava le celle dei prigionieri politici; l’altro, ultimato alla fine del settecento per volontà dell’imperatore Leopoldo II, conteneva il corpo di guardia, la sezione femminile della casa di pena, ed un angusto locale, adibito a luogo di punizione, in cui veniva inflitta la “bastonata” nei casi di grave indisciplina. Almeno questo supplizio fu risparmiato ai patrioti italiani. Il regime carcerario poteva essere duro oppure durissimo, a fare la differenza erano le catene. Il primo comportava una catena alle caviglie che costringeva a muoversi
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faticosamente a piccoli passi; i ferri spesso provocavano ferite ed escoriazioni alle caviglie ed al collo del piede. Esse era un tormento continuo, soprattutto di notte, poiché impediva di assumere una posizione comoda. Pellico ne soffrì acutamente: “L’incomodo della catena a’ piedi togliendomi di dormire, contribuiva a rovinarmi la salute. Schiller (il secondino) voleva ch’io reclamassi e pretendeva che il medico fosse in dovere di farmele levare. […] Il medico disse di non giungere a tal grado le mie febbri, ch’ei potesse appagarmi ed essere necessario ch’io mi avvezzassi ai ferri.” Il secondo regime, durissimo, riservato ai prigionieri più indisciplinati, imponeva in cella una immobilità quasi assoluta, attraverso una catena fissata al muro ed ai fianchi del detenuto. La catena al muro era così corta da consentire di muovere appena qualche intorno al tavolaccio che serviva da letto. Il cibo, scarso e quasi immangiabile, era uguale per tutti. In entrambi i regimi era obbligatorio il lavoro. I detenuti comuni si dedicavano alla falegnameria, alla sartoria e ad altre attività artigianali, secondo le loro competenze. Nei primi anni di prigionia i detenuti politici furono esentati da ogni tipo di occupazione, poi furono ammessi al lavoro su loro stessa insistenza. La loro speranza di rompere la monotonia del carcere fu vana. Essendo spesso troppo deboli per svolgere sforzi fisici, i politici furono costretti a svolgere noiosi lavori in cella. Tutti i detenuti avevano la stessa divisa, composta da “…un paio di pantaloni di ruvido panno, a destra color grigio, e a sinistra color cappuccino; un giubbettino dei due colori. Gli stivali erano di cuoio non tinto allacciati. Il cappello era bianco.”. I detenuti comuni erano di solito alloggiati in affollate camerate comuni. A quelli politici erano invece assegnate celle inizialmente singole poi doppie. L’assenza di ogni minima comodità non mancava di gettare nello sconforto ogni nuovo prigioniero. Ai più sfortunati erano assegnate le celle nel sottosuolo, umide e terribilmente malsane. Maroncelli fu uno di questi. Anche Pellico vi passò qualche giorno, poi le sue condizioni di salute si fecero così preoccupanti da convincere il direttore, su insistenza del medico carcerario, a trasferirlo al piano superiore dove la luce penetrava da una stretta finestrella ed arrampicandosi alle sbarre si poteva scorgere la vallata sottostante. Quel trasferimento gli salvò la vita. Tutti i prigionieri politici raggiunsero tali condizioni di salute da convincere l’imperatore ad autorizzarne l’appaiamento, “affinché uno servisse d’aiuto all’altro”. Furono quindi create coppie in alcuni casi destinate a durare per tutto il tempo della detenzione. Una di essa fu quella formata da Pellico e Maroncelli.
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Le sofferenze e le privazioni trasfiguravano i prigionieri, facendoli invecchiare precocemente. Spesso i prigionieri davano segni di squilibrio mentale, litigavano tra loro, avvenivano delle aggressioni vere e proprie. Uno dei prigionieri più intrattabili fu il marchese Pallavicino, che già durante la detenzione a Milano aveva dato segni di squilibrio mentale. Intorno alle nove i reclusi godevano di un paio d’ore da dedicare all’igiene personale, alla conversazione ed alla lettura. Il conforto dei libri non era un diritto acquisito dei detenuti, ma una generosa concessione dell’imperatore che poteva revocarla a suo piacimento. E così fece ai patrioti italiani furono sequestrati i libri che avevano portato con sé: romanzi, raccolte di poesie, tragedie per un totale di circa centocinquanta volumi di autori italiani, latini, greci, francesi, inglesi e tedeschi. Nelle ore pomeridiane la luce, soprattutto nei mesi invernali, filtrava a fatica nelle celle, limitando il lavoro o la lettura quando era concessa. L’illuminazione artificiale era molto scarsa e solo più tardi fu concessa un po’ di luce ai prigionieri con l’installazione nei corridoi di alcune lampade. Finché i libri circolarono con una certa libertà fornirono carta da scrivere in abbondanza. Dai margini delle pagine, dalle copertine, dagli spazi bianchi inseriti qua e là nei testi potevano essere ricavate striscioline che, con la complicità dei detenuti comuni incaricati delle pulizie, si diffondevano per il carcere. Dopo la requisizione dei libri la carta divenne più preziosa. Oggi la fortezza è un museo di Brno in cui si hanno varie esposizioni permanenti dedicate alla storia. Austera e impenetrabile, la fortezza dello Spielberg incute ancora timore e inquietudine. Soprattutto quando si supera il monumento ai carbonari italiani. A. Padulo 2^I