Dopo la Restaurazione (1815) molti sovrani revocarono le costituzioni concesse durante le rivoluzioni e soppressero le libertà di stampa e di associazione. In questo clima fiorirono in tutta Europa le società segrete, il cui scopo era cambiare o abbattere ‒ tramite rivolte o congiure ‒ i governi esistenti, per realizzare gli ideali di libertà e di indipendenza nazionale. Tra di esse, una delle più importanti fu la Carboneria
La Carboneria nacque nell’Italia meridionale durante il regno di Gioacchino Murat (1808-15) e in seguito si diffuse nella Romagna; di qui entrò in contatto con le sette democratiche dell’Italia del Nord, per poi diffondersi in Francia e in Spagna.
All’azione della Carboneria si devono anzitutto i moti napoletani del 1820: sotto la guida di due ufficiali, Morelli e Silvati, i rivoluzionari riuscirono a ottenere la formazione di un governo costituzionale. Ma fu un successo di breve durata: le divisioni interne e soprattutto l’intervento militare dell’Austria posero fine all’esperienza. Nel frattempo la congiura organizzata in Lombardia era stata stroncata sul nascere grazie alla scoperta dell’organizzazione carbonara e all’arresto dei suoi capi, Silvio Pellico e Pietro Maroncelli, che avrebbero scontato una lunga e penosa detenzione nelle carceri austriache dello Spielberg.
La Carboneria giocò ancora un ruolo decisivo nei moti di Modena e Reggio del 1830, guidati da Ciro Menotti, nei quali si affacciò per la prima volta l’idea dell’unificazione nazionale. I rivoluzionari, traditi dal duca Francesco IV che li aveva precedentemente appoggiati, furono arrestati e giustiziati.
La Carboneria era originariamente ispirata a ideali liberali, in nome dei quali si batteva perché i governi assoluti si trasformassero in governi costituzionali.
Intorno agli anni Trenta, con lo spostamento al Nord e l’influenza delle idee politiche del rivoluzionario pisano Filippo Buonarroti, si fecero strada anche ideali repubblicani e democratici e alcune esigenze di tipo socialista (socialismo), come la distribuzione della terra ai contadini.
La Carboneria aveva una struttura ‘piramidale’: al vertice vi era un ristretto numero di capi, la cui identità era segreta, mentre i membri dei livelli inferiori non conoscevano né gli altri affiliati né i programmi dei livelli superiori. In tal modo si pensava di garantire la sicurezza dell’organizzazione, perché in caso di arresto la maggior parte dei carbonari aveva poco da rivelare alla polizia.
Gli affiliati più numerosi e intraprendenti erano gli ufficiali e i sottufficiali formatisi durante il periodo napoleonico; a essi si aggiungevano molti intellettuali e studenti, qualche membro dell’aristocrazia illuminata e della borghesia, pochissimi artigiani e popolani. I carbonari si chiamavano tra loro ‘cugini’: i loro rituali erano di origine massonica, mentre la simbologia si ispirava al lavoro dei carbonai.
I moti carbonari fallirono per una serie di ragioni. Anzitutto, l’ossessione per la segretezza non solo non riuscì a garantire la sicurezza delle organizzazioni (perché l’arresto dei capi le rendeva incapaci di agire), ma rese assai difficili i contatti al loro interno e all’esterno, impedendo il coordinamento delle forze rivoluzionarie. In secondo luogo, spesso i carbonari si illusero di poter coinvolgere nei tentativi di riforma i sovrani stessi, andando incontro a clamorosi fallimenti.
Ma la ragione forse più importante sta nella ristretta base sociale della Carboneria e nella mentalità aristocratica dei suoi capi. Come dirà Mazzini, i moti carbonari fallirono perché non oltrepassarono mai “il cerchio di una casa, militare o borghese”; il popolo, “sola vera forza rivoluzionaria, non scese mai sull’arena” e ciò accadde perché non fu mai coinvolto nelle insurrezioni.
S. Naturale-A. Rinaldi- G. Verroia 2^I