VITIGNO DI CASAVECCHIA
Il vitigno di Casavecchia ha origini poco conosciute. Sicuramente è un autoctono campano, diffuso soprattutto in provincia di Caserta. Una leggenda tramandata tra i contadini ne fa risalire la scoperta in un vecchio rudere noto come “’A casa vecchia”. Lì fu rinvenuto agli inizi del ‘900 un vecchio ceppo sopravvissuto alle epidemie di oidio e fillossera dell’800, capostipite quindi dell’odierno vitigno Casavecchia. La zona di produzione del Casavecchia si trova nel Nord della provincia di Caserta ed è compresa tra i comuni di Pontelatone, Formicola, Liberi e Castel di Sasso, vicini a Piedimonte Matese. Il legame territoriale del vitigno è molto forte e la sua adattabilità ad altre aree è molto scarsa.Il Casavecchia è un vitigno “misterioso”, infatti nessun ampelografo né ha mai parlato e nonostante i progressi nella mappatura genetica dei vitigni, il Casavecchia presenta caratteristiche molto originali ed è escluso che possa essere un clone di un altro vitigno. L’unico legame del Casavecchia con l’antica viticoltura Campana è che l’antica località romana “Trebula baliniensis” coincide con l’area della sua produzione, facendo pensare che il vitigno all’origine del vino “Trebulanum”, decantato da Plinio il Vecchio, potrebbe proprio essere il Casavecchia. Essendo poco produttivo, il Casavecchia è tra i prodotti di alta qualità. Il vino Casavecchia è di grande struttura, dall’intenso colore rosso e con una notevole predisposizione all’invecchiamento, tanto che può essere davvero apprezzato e valorizzato solo in seguito ad un affinamento in rovere di 15-18 mesi e ad un successivo affinamento in bottiglia di almeno 4 o 5 anni. Si ritiene che un vino Casavecchia ottenuto dalle uve migliori possa raggiungere, senza problemi, 20 anni e più di invecchiamento. La Casavecchia di Pontelatone DOC è una delle più piccole aziende se non la più piccola d’Italia e proprio per questo naturalmente incline a produrre un vino di elevata qualità. Il Casavecchia si abbina perfettamente con i seguenti dolci, non tutti tipici della nostra zona, ma di solito presenti nei nostri menù:Morsette (o Morzette)
Dolci filoncini alle mandorle cotti in forno, poi tagliati e biscottati fino a diventare croccanti e di un bel colore nocciola dorato.
Ingredienti: 100 gr. di burro 500 gr. di farina 250 gr. di zucchero 250 gr. di mandorle Un pizzico di sale 4 uova lievito per dolci 1 uovo per spennellareEsecuzione:
Mettere gli ingredienti in una ciotola ed impastare il tutto, dare le forme desiderate al composto, disporle in una teglia, spennellarle con il tuorlo e infornarle a 180° per 20 minuti, dopodiché toglierle dal forno. Dopo averle fatte riposare per alcuni minuti, infornarle di nuovo, sempre a 180°, fino alla doratura desiderata.Tiramisù
Dolce tradizionale diffuso in tutto il territorio italiano. Si tratta di un dessert al cucchiaio a base di savoiardi inzuppati nel caffè e ricoperti di una crema composta di mascarpone, uova e zucchero, che in alcune varianti è aromatizzata con il liquore. Ingredienti: 500 gr. mascarpone500 ml di caffè
Savoiardi q.b.
2 uova
100 gr. di zucchero
Cacao in polvere
Scaglie di cioccolato (facoltative)
Esecuzione:
Per la crema battere 2 uova con lo zucchero, inserire il mascarpone e continuare a battere, infine aggiungere le scaglie di cioccolate. Per la base bagnare i savoiardi nel caffè, posizionare i savoiardi bagnati in una teglia e adagiarci sopra la crema, facendo strati a piacere. Infine spolverare il tutto con il cacao in polvere.Torta al cioccolato
Dolce classico ed intramontabile della pasticceria italiana, che piace sempre a tutti. Ingredienti: 200 gr di farina 00 200 gr di zucchero 100 gr di burro a temperatura ambiente 75 gr di cacao amaro in polvere 5 uova intere 50 ml di latte 16 gr di lievito per dolciEsecuzione:
Prendete le uova a temperatura ambiente, separate i tuorli dagli albumi, montate i tuorli con lo zucchero per circa 15 minuti. Incorporate zucchero, farina, cacao e burro a temperatura ambiente e mescolate. Se dovesse servire, aggiungete di tanto in tanto il latte per rendere il composto della torta al cioccolato più lavorabile. Unite gli albumi montati a neve e il lievito. Mescolate molto lentamente facendo attenzione a non smontare gli albumi. Imburrate una teglia e quindi versateci dentro il composto della torta al cioccolato. Cuocete la torta in forno a 160 °C per circa 45/50 minuti.PALLAGRELLO BIANCO E PALLAGRELLO NERO
Il nome di queste due varietà d vino trae probabilmente origine dal pagliarello, il graticcio di paglia dove l’uva veniva tradizionalmente posta ad appassire. In passato il Pallagrello bianco è stato considerato semplice sinonimo della coda di volpe bianca: l’errore nasceva dal fatto che entrambi i vitigni hanno un grappolo che ricorda nella forma la coda della volpe. Questa similitudine morfologica ha convinto i contadini di essere in presenza di un’unica varietà quando in realtà erano due uve distinte. Questa convinzione era così saldamente ancorata che ha portato anche alcuni ampelografi a sostenere la tesi del vitigno unico. Coltivato in ambito molto ristretto rispetto alla coda di volpe, l’autentico Pallagrello bianco, che le recenti analisi del Dna hanno definitivamente reso indipendente, trova la sua origine tra Piedimonte e Alife, nell’alto casertano. Per quanto riguarda invece l’origine della varietà a bacca scura, se si accetta la tesi sostenuta da alcuni studiosi secondo cui il Pallagrello nero, chiamato a giusto titolo anche coda di volpe nera per la forma del grappolo, sia un tipo di coda di volpe bianca a bacca nera, allora si può collegarlo alla Vitis alopecis di origine greca descritta da Plinio. Agli inizi del Novecento la varietà subisce un inesorabile declino, il suo rilancio, dovuto a qualche caparbio neoviticoltore del Volturno, risale alla fine degli anni Novanta. I due Pallagrello vivono il loro momento di massimo splendore durante la seconda metà del XVIII secolo, sotto il regno di Ferdinando IV di Borbone, che giudica il piedimonte rosso e il piedimonte bianco (così venivano chiamati, perché si pensava fossero originari del comune di Piedimonte Matese) come le uniche due varietà campane degne di figurare nella magnifica e famosa Vigna del Ventaglio di San Leucio di Caserta, un esteso vigneto a semicerchio con dieci raggi, destinati alle dieci varietà più prestigiose di vitigni del Regno delle Due Sicilie. In passato la coltivazione del pallagrello nero era accertata, oltre che lungo il fiume Volturno, in buona parte della Campania, nei pressi di Venafro (nel vicino Molise) e più raramente in Calabria. Il suo habitat odierno si è ristretto alla zona a nord-est della città di Caserta, nel territorio dei comuni di Alife, Alvignano, Caiazzo e Castel Campagnano. L’area di coltivazione del pallagrello bianco rimane per ora limitata alla provincia di Caserta, in prevalenza nei comuni di Caiazzo, Castel Campagnano, Castel di Sasso e zone limitrofe. Il pallagrello bianco ha un grappolo cilindrico e alato, abbastanza piccolo, anche l’acino è piccolo, di forma rotonda e di colore giallo-verde. Arriva a maturazione tra la seconda e la terza decade di settembre, con buona resistenza alla botrytis se non viene troppo ritardata la raccolta. Il grappolo del pallagrello nero invece è piccolo, cilindrico, senza ali e abbastanza spargolo. L’acino è piccolo, sferico, con buccia spessa di colore blu nero. Tradizionalmente era coltivato a raggiera, ma i vigneti odierni a spalliera sono più razionali. L’epoca di maturazione cade di solito tra la seconda e la terza decade di ottobre. Il Pallagrello si abbina perfettamente con i seguenti piatti presenti nei nostri menù:Risotto al tartufo (Pallagrello bianco)
Piatto eccezionale perché si basa su un ingrediente preziosissimo della terra: il tartufo, frutto dell’inverno dal sapore talmente ricco, carico e inimitabile, con una ricetta così, è impossibile non fare centro. Ingredienti: 320 g di riso 1 l circa di brodo vegetale (cipolla, sedano, carota) 1/2 bicchiere di vino bianco secco 100 g di parmigiano grattugiato 60 g di burro 20 g di tartufo nero Olio extravergine di oliva Sale q.b. PepeEsecuzione:
Per realizzare il risotto al tartufo fate tostare il riso a secco nella pentola prescelta. Aggiungete un filo d’olio, mescolate e sfumate con il vino bianco. Unite quindi un mestolo di brodo vegetale caldo, preparato secondo la ricetta base, ma tra le verdure preferite cipolla, sedano e carote. Portate a cottura il risotto come di consueto, aggiungendo una mestolata di brodo caldo man mano che il precedente è stato assorbito. Spegnete quindi il fuoco, unite il parmigiano e mantecate con il burro. Fate riposare qualche minuto a pentola coperta. Intanto affettate il tartufo con l’apposito attrezzo. Suddividete il risotto nei singoli piatti, completate ognuno con qualche lamella di tartufo e servite.Ziti tagliati con bocconcini di maiale nero casertano (Pallagrello nero)
L’ingrediente predominante di questo piatto è il Maiale Nero Casertano, una razza autoctona, oggi allevata tra la Campania, il Molise e province di Latina e Frosinone ed è tra le sei razze di suini italiani in via di estinzione, soprattutto a causa delle ridotte dimensioni delle loro popolazioni e della poca valorizzazione economica delle loro potenzialità. Ingredienti: 500g di ziti di Gragnano 350g di polpa di Maiale Nero Casertano 2 barattoli di pomodorini datterini ½ cipolla dorata di Montoro 50 g di Provolone del Monaco dop 45 g di olio extravergine d’oliva 15 foglie di basilico SaleEsecuzione:
Tagliare la polpa di maiale a tocchetti di ½ centimetro quadrato, rosolarla in un tegame di rame con olio e cipolla per 5 minuti, aggiungere i pomodorini, salare e lasciar cuocere per mezz’ora. A parte, in una pentola con abbondante acqua, cuocere la pasta, scolarla due minuti prima rispetto il tempo riportato sulla confezione, versarla nel tegame con il sugo, mantecare per un minuto e spegnere. Aggiungere il Provolone grattugiato e il basilico frullato insieme a un po’ di olio. Mantecare ancora e servire subito, magari spolverando con altro formaggio.AGLIANICO
L’aglianico è un vitigno coltivato in prevalenza in Campania e Basilicata. Trova spazio anche in Puglia, Molise e Sardegna. È originario della Magna Grecia e deve il suo nome alla volgarizzazione del termine greco “Ellenikon” in Hellenico, Hellanico sino ad arrivare ad Aglianico. È un vitigno di buona vigoria e produttività. Il grappolo, di media grandezza e abbastanza compatto, presenta acini con buccia molto resistente dal colore blu intenso e ricca di pruina. Si presenta di colore rosso rubino più o meno intenso o granato vivace. Sapore asciutto, sapido ed equilibrato, particolarmente tannico nella prima fase di affinamento; migliora dopo un adeguato invecchiamento in botte di rovere grazie all’elevata gradazione alcoolica e per il buon livello di acidità totale. In bocca si presenta pieno e persistente con marcati sentori di confettura di prugna e liquirizia. L’Aglianico si abbina perfettamente con il seguente piatto presente nei nostri menù:Tartare di maiale
La tartare è un piatto di origine francese a base di carne bovina o equina che viene servita cruda e tagliata al coltello in pezzi molto piccoli. Ingredienti 300 gr. di filetto di maiale 50 gr. di lardo di Colonnata 1 mango maturo 2 cm. di zenzero fresco 1 cucchiaio di zucchero di canna 30 ml di aceto di mele Una punta di cucchiaino di curcuma 1 cipolla rossa di Tropea Mezzo cucchiaino di semi di senape Un cucchiaino di cumino Qualche pezzettino di peperoncino fresco 1 cubo di cioccolato fondente al 70% 1 limone, salsa di soia, sale e pepe biancoEsecuzione:
Tritate al coltello il filetto di maiale facendo una tartare molto fine. Aggiungete 3 cucchiai di salsa di soia e marinate per 45 minuti. Tagliate grossolanamente il lardo e rosolatelo in padella per farlo diventare croccante. Tagliate 100 gr. di mango a cubetti piccoli piccoli. Il restante ed i i ritagli li userete per la salsa chutney. In una padella mettete la cipolla tritata, mezzo zenzero sbucciato e tagliato a rondelle, lo zucchero di canna, due cucchiai di aceto di mele e il succo di limone. Unite il mango, il peperoncino, un cucchiaino di curcuma, uno di senape e uno di cumino. Cuocete per un’ora. Fate raffreddare e frullate col minipimer (usando l’accortezza di togliere metà zenzero). Unite il mango a cubetti alla carne, il lardo e mettete in una coppa con sopra un cucchiaio di salsa chutney e il cioccolato grattugiato.CODA DI PECORA
Non lo conosceva nessuno e sconosciuto sarebbe rimasto, se non fosse stato per la tigna dell’azienda agricola Il Verro che prima ne ha salvato dall’oblio le uve, poi ne ha fatto un grandissimo vino e infine sta battagliando da anni per fargli avere tutti i riconoscimenti burocratici. Grazie a tutto questo, oggi possiamo avere la gioia di scoprire il Coda di Pecora, vitigno autoctono campano ignoto ai più. La suddetta cantina casertana “ha riscoperto e iniziato un lavoro di valorizzazione dell’antico vitigno Coda di Pecora, coltivato in passato nell’area d’elezione tra il Monte Maggiore e Roccamonfina e su cui, da qualche anno, sono in corso delle sperimentazioni. Frojo nel 1875 lo cita nei suoi lavori sulla viticoltura in Campania”. Quando i titolari dell’azienda sono arrivati qui, nel territorio di Formicola, hanno notato un’uva bacca bianca mai vista che i braccianti della zona usavano per fare il vino del contadino. I soci del Verro hanno voluto approfondirne la conoscenza, scoprendo così che si trattava di un autoctono di remoto lignaggio, quindi ne hanno finanziato lo studio, sostenendo il carico della procedura che lo ha posto in fase di catalogazione nell’elenco dei vitigni autoctoni italiani. Proprio perché tale procedura non è stata completata, il nome del vitigno non può apparire in etichetta e il vino stesso per il suo nome ha dovuto virare verso un inglesismo: Sheep. Il Coda di pecora si abbina perfettamente con i seguenti piatti presenti nei nostri menù:Spaghetti cozze e vongole
Si tratta di un primo piatto tipico della tradizione italiana, una via di mezzo tra gli spaghetti alle vongole e gli spaghetti alle cozze. Sono fantastici, si preparano in pochi minuti senza condimenti pesanti per permettere di assaporare tutto il gusto delle vongole veraci e delle cozze. Ingredienti: Spaghetti 350 g Vongole 500 g Cozze 700 g 1 Aglio a spicchi 1 mazzetto di prezzemolo 5 cucchiai di olio di oliva extravergine Sale q.b. e pepe q.b.Esecuzione:
Tenere le vongole immerse in abbondante acqua fredda, affinché perdano l’eventuale sabbia all’interno, e scolarle. Raschiarle, lavarle, scolarle e tenerle da parte. In una padella sul fuoco mettere le vongole, le cozze e lo spicchio d’aglio sbucciato e leggermente schiacciato, irrorare con 2 cucchiai d’olio, coprire la padella e far aprire i gusci a fuoco moderato. Togliere la padella dal fuoco, staccare una metà dei molluschi dai gusci e metterli in una ciotola, filtrare il liquido di cottura attraverso un telo e tenerlo da parte. Nella padella far scaldare l’olio rimasto ed aggiungere i molluschi e il liquido di cottura. Insaporire con un pizzico di pepe e sale, se necessario, e far cuocere per qualche minuto. Nel frattempo, far cuocere gli spaghetti in acqua salata bollente. Scolarli al dente e farli saltare in padella con il sugo di vongole e cozze. Distribuire la pasta nei piatti individuali cospargendola con il prezzemolo tritato e servire.