di Lucia Fusco – 3^C –
Disinformazione è sinonimo di pericolo, così come lo sono le Fake news, tanto più quando riguardano temi di salute. In un momento di emergenza e avvilimento come quello che stiamo attraversando a causa del COVID19, il flusso di informazioni ingannevoli, soprattutto in rete e sui social, è particolarmente massiccio e districarsi in questa marea di notizie che vengono diffuse non è facile, anche per i più esperti. Il termine inglese fake news, tradotto come “false notizie”, indica articoli scritti sulla base di informazioni inventate o distorte, rese pubbliche attraverso qualsiasi mezzo di informazione. Fino all’avvento dei nuovi mezzi di comunicazione e dei social media le informazioni fasulle avevano una diffusione molto più lenta, mentre oggi possiamo definirle virali. Il problema, però, non può essere affatto circoscritto alle piattaforme di social networking, ma riguarda l’intero sistema dell’informazione, in un mondo in cui i tempi e i luoghi della fruizione sono sempre più liquidi, e poco inquadrabili nelle classici matrici delle programmazioni. E’ molto facile creare un falso mito, soprattutto quando si gioca con le emozioni altrui, come, in questo caso, la paura, ma il vero problema è che, una volta diffusa, la notizia non veritiera diventa difficile da distruggere. Essa passa attraverso un’infinità di bocche, le quali incrementano il fatto spinte da rabbia, odi, paure e altri stati d’animo che, può sembrare strano, sono capaci di trasformare una credenza o una bufala in una verità. Ci sono due modi per combattere le fake news: uno è rispondere colpo su colpo, contrapponendo la verità e le evidenze. Funziona, ma non basta. Il secondo modo è smascherare il metodo con cui vengono costruite, ma non è semplice, perché le notizie false sono furbe, persuasive, danno messaggi semplici che consolano ed ecco perché ci si aggrappa e le si difende con la speranza che siano vere, infatti è più facile accettare una buona notizia, che una cattiva. Per questo non si può essere paternalisti o dare degli ignoranti a chi ci crede. La domanda a questo punto sorge spontanea: bisogna arrendersi ? Assolutamente no. Un codice di condotta sulla disinformazione online su base volontaria è l’iniziativa delle grandi piattaforme, fra cui Facebook, Google e Twitter, presentata alla Commissione Europea. Per essere più chiari ed evitare incomprensioni, le varie piattaforme hanno presentato un Codice di autodisciplina che contiene una serie di impegni nella lotta al fenomeno, una misura accolta con favore dalla commissaria europea all’economia e alla società digitale Mariya Gabriel, la quale ha sollecitato a intensificare gli sforzi per combattere la diffusione della disinformazione online fino in fondo. Il codice di condotta, ha detto Gabriel, è il “primo risultato tangibile” della comunicazione adottata dalla Commissione europea. Fra gli impegni sottoscritti dalle piattaforme ci sono l’interruzione delle entrate pubblicitarie dai siti web che diffondono disinformazione, una maggiore trasparenza della pubblicità politica e l’impegno ad affrontare i problemi degli account falsi e dei bot. Si permetterà ai consumatori di segnalare le bufale e migliorare le visibilità e la reperibilità di contenuti autorevoli e si consentirà ai ricercatori di monitorare la disinformazione attraverso l’accesso ai dati delle piattaforme. Il vero metodo per risolvere il problema è, dunque, affidarci a siti d’informazione al 100% attendibili e tralasciare tutti gli altri, potrebbero sembrare misure estreme da adottare, ma bisogna farlo per limitare la nascita di queste falsità fino ad eliminarle del tutto. Tutti insieme possiamo farcela.