I sommersi e i salvati è un saggio scritto da Primo Levi nel 1985, anno precedente al suo suicidio.
Il Saggio è diviso in 8 capitoli e racconta il mondo dopo la fine della seconda guerra mondiale attraverso gli occhi di quei pochi sopravvissuti all’orrore dei campi di concentramento.
Infatti, da quel momento storico in poi, si è cercato di occultare e i prigionieri sopravvissuti stessi raccontavano ricordi più dolci, distorcendo quella realtà che li aveva tormentati per anni.
Il saggio racconta la pena dei salvati, i quali non sono riusciti a salvare i loro compagni, la difficoltà della comunicazione, l’umiliazione, le offese ecc. |
Primo Levi dice che non bisogna dimenticare i drammi della guerra e teme che la distanza fra la data di pubblicazione del libro e gli eventi narrati in esso sia troppo distante per poter comprendere a pieno le agonie di quegli anni.
Nelle pagine de I sommersi e i salvati Levi decide di farci udire la voce anche di chi non è sopravvissuto al nazismo, quella dei “sommersi”. Questi ultimi sono coloro che non hanno trovato un modo per restare in vita perché hanno seguito passo dopo passo le regole della vita del campo; a loro si contrappongono i (pochi) “salvati” che, pur ad un prezzo altissimo, sono tornati vivi alla loro esistenza normale e quotidiana. Levi, annoverandosi tra questi, spiega al lettore come la maggior parte dei “salvati” sia riuscita a vivere perché ha accettato di abbandonare parte della propria moralità e integrità, riuscendo a divenire “utile” al funzionamento del campo. Da ciò capiamo l’angoscia provata da Levi al momento della liberazione da parte degli alleati, che non viene vissuta con totale gioia, perché porta con sé la vergogna per essere sopravvissuto e insieme l’onere delle testimonianza di ciò che i sopravvissuti hanno visto.
I “sopravvissuti” vivono grazie alla morte dei loro compagni, dato che essi hanno ubbidito ai tedeschi, riuscendo così a non farsi uccidere ma comportandosi però male verso i loro compagni . Questa angoscia li seguirà per tutta la vita tanto che molti decideranno di porre fine alla propria sofferenza togliendosi la vita.
Con questo saggio Levi ci spiega quali limiti disumani possa raggiungere una condizione come quella dei prigionieri di un lager, non riferendosi tanto alla ferocia nazista, bensì descrivendo lo stato di degradazione morale e fisica in cui versano i prigionieri: una disumanizzazione tale da togliere significato anche alla morte.
“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre». |