Di Cutrignelli Dalila – classe III sez. D
Il 10 Febbraio l’Italia, a partire dal 2004, celebra il Giorno del Ricordo, dedicato alla commemorazione delle vittime che tra il 1943 e il 1947 vennero catturate, uccise e gettate nelle cavità carsiche dell’Istria e della Dalmazia, le cosiddette foibe (dal latino fovea, cava), dai partigiani jugoslavi di Tito, guidati solo dalla brama di vendetta nei confronti degli italiani fascisti e di quanti erano considerati oppositori del comunismo. Tanti, per evitare quella triste sorte, fuggirono dalle loro terre, condannandosi a vivere da profughi. Si rivela assolutamente appropriata la definizione che in occasione di questa giornata utilizza il nostro Capo dello Stato, Sergio Mattarella “sciagura nazionale”, a sottolineare proprio l’atrocità, la sofferenza, l’orrore di queste pagine della storia, taciute per troppo tempo.
Anche noi alunni della Vaccina, in questo giorno, abbiamo dedicato ai nostri connazionali un pensiero carico di riflessione, di amarezza, ma anche di speranza, attraverso un’esperienza particolare vissuta presso il Castello Svevo di Barletta, assieme ai nostri docenti.
Dopo una breve presentazione dell’argomento, abbiamo assistito ad una rappresentazione teatrale “Il treno della vergogna”, molto commovente, che vedeva come protagonista un uomo, costretto ad abbandonare la sua casa e a vivere da profugo; egli entra in scena camminando lentamente fino alla panchina della stazione con un vaso in mano, contenente le ceneri della moglie ormai defunta. Dopo circa settanta anni dall’ultimo treno preso, quello che lo portò lontano dalla sua terra, l’uomo dovrà risalire sul treno che lo riporterà a casa. Questi racconta casualmente la sua storia ad una donna che sembra essere presa esclusivamente dal ritmo veloce ed incalzante della vita odierna e che è molto irritata perché costretta ad aspettare un treno in ritardo di 70 minuti. L’incontro con quest’uomo, che al contrario sembra muoversi lento e sommesso al ritmo smorzato del ricordo nostalgico e del dolore trasfigurante, cambia la prospettiva di vita della donna. Al centro del suo mondo non più il lavoro e l’efficienza, ma i rapporti umani. I due scoprono di avere dei parenti in comune e così, la freddezza delle battute iniziali si stempera definitivamente in un abbraccio empatico ed affettuoso che sancisce il coinvolgimento emotivo di entrambi, lo stesso che deve essere alla base di quell’umana fratellanza che è l’unica condizione per una pace duratura.
Dopo lo spettacolo, ci siamo soffermati a leggere delle testimonianze molto forti; quella che mi ha colpito di più racconta la storia di una ragazza, che prima di essere gettata in una foiba viene violentata da 17 guardie. E’ un’esperienza terribile che nessuna donna dovrebbe mai provare!
Altri pannelli riportavano i nomi delle vittime pugliesi, circa trecento; ritrovare tanti cognomi a noi familiari perché appartenenti alla nostra terra ci ha fatto sentire ancor più direttamente coinvolti in questa vicenda storica. Il tutto è avvenuto nella cornice suggestiva dei sotterranei del castello, che, in maniera molto suggestiva e realistica, evocava proprio l’atmosfera tetra e paralizzante delle foibe.