di Minerva Freda – 3^B –
Razzismo.
Una parola con molteplici significati.
Ma cos’è il razzismo?
Il razzismo è un problema di cui ancora oggi si discute.
Le nostre città, i nostri paesi e nazioni si stanno riempiendo di persone provenienti da tutto il mondo, che, a volte, vengono sfruttate per svolgere tutti quei lavori considerati inferiori.
La convivenza diventa un problema in quanto si hanno diversi modi di pensare, mangiare o pregare.
Esistono, però, diversi tipi di razzismo e/o di emarginazione.
È per questo che ho deciso di andare in giro per la mia scuola e intervistare alcuni ragazzi, vittime di razzismo.
Il primo intervistato è Giacomo, un ragazzo di quarto liceo, molto bravo a scuola, ma con la pelle più scura della nostra.
“Ti dico solo che per colpa del colore della mia pelle, sono sempre stato escluso da tutti fin dalle elementari. Non sono nato in Italia, sono nato in Africa e, dopo la morte di mia madre, sono stato adottato da una coppia di italiani. I miei compagni mi hanno sempre un po’ emarginato per questo. Ho sentito svariate volte qualcuno urlarmi contro “negro” o anche “le persone come te ci rubano il lavoro”. Sono rimasto scioccato. Come potevano le persone dirmi quelle cose senza neanche conoscermi? Cosa ho fatto di tanto grave nei loro confronti? Non ho mai né rubato né compiuto atti illeciti. Perché mi considerate diverso?”
Ho chiesto, poi, a Carlo.
Carlo è un ragazzo di quinta, alto e molto bello. Noi ragazze diremo la copia di Johnny Depp, eppure, lui è considerato quasi un mostro perché omossessuale.
“Sono consapevole di essere bello e di avere molte ragazze intorno, ma non sono interessato a nessuna di esse. Ho scoperto a 5 anni di essere diverso dagli altri bambini. Questa cosa all’epoca mi ha turbato parecchio. Vedevo i miei amici giocare con le macchinine, mentre io preferivo pettinare i lunghi capelli delle Barbie. Vedevo che si divertivano a fare i dispetti alle bambine, mentre io adoravo chiacchierare con loro di bambole o vestitini. A 15 anni, invece, ho scoperto che la mia passione era la moda. I vestiti, i trucchi, i gioielli erano il mio paradiso. All’inizio cercavo di tenere nascosta questa cosa, non volevo essere considerato una femminuccia o uno sfigato. Ho cercato di reprimere i miei veri sentimenti, ma mi sentivo male. Volevo gridare a tutti quello che io sentivo di essere e non nascondermi dietro la maschera che mi ero creato. Al liceo, mi chiamavano, e mi chiamano ancora, “gay” e non riesco a nasconderti il dolore che sento. Essere deriso solo perché non voglio giocare a calcio o a basket, mi fa sentire diverso e lo farà sempre.”
Arrivo, poi, da Serena.
Serena è una ragazza di seconda, un po’ in sovrappeso, che è sempre stata discriminata per tale motivo.
“Io non sono nata così ma lo sono diventata e non me ne sono accorta. Ogni mio problema, ansia o preoccupazione, io la sfogavo nel cibo. Mangiando, espellevo tutto il dolore che avevo dentro. Ritenevo il cibo un amico che mai e poi mai mi avrebbe tradito. E non sono servite a niente le diete che ho fatto o i chili che ho perso. Sentivo sempre qualcuno che mi chiamava “cicciona” o “palla di lardo”, come a scuola, dove i miei compagni mi allontanavano o quando parlavano male alle mie spalle. Mi chiedevo allora che cosa avessi fatto per meritare tutto ciò.
Perché la gente ancora oggi mi esclude da tutto? Perché non sono una modella alta 1,80 e non ho un bel viso?”
E, infine, arrivo da Salim.
Salim è un ragazzo nuovo, frequenta la prima ed è musulmano.
“Essere musulmano nel mio paese era considerato un onore, un dono da proteggere. Quando sono arrivato qui, pensavo fosse lo stesso e invece no. Era il periodo in cui i kamikaze si facevano saltare in aria in difesa della loro religione. Perciò tutti mi guardavano dalla testa ai piedi o giudicavano i miei vestiti. A scuola sono sempre in disparte. Nessuno vuole fare amicizia con me. Mi considerano uno sfigato, un ragazzo diverso. Non so perché si comportino in questo modo, ma la loro indifferenza nei miei confronti, mi fa stare malissimo.”
E così si è conclusa la mia intervista.
Giacomo, Carlo, Serena e Salim sono considerati diversi.
Purtroppo, la paura del diverso è ancora oggi molto presente nella nostra società l. Ci dimentichiamo che il razzismo parte da vicino, dal nostro compagno di banco o dal nostro migliore amico, da come accogli chi viene da un’altra città o da come vedi e consideri il tuo prossimo.
“Odiamo perché ci insegnano ad odiare. Sulla faccia della Terra esiste una sola razza e nessuno è superiore agli altri.” Sono queste le parole che dovrebbero farci riflettere. Sono parole di Jane Elliott e mi trovo completamente d’accordo con lei.
Il razzismo, a mio avviso, è tra noi in mille forme: lo è nel carattere e nell’indole, nell’ignoranza e della stupidità di chi non sa capire che l’unica giusta via è quella dell’accoglienza studiata e gestita.