Proviamo a entrare nello spirito del tempo. Analizziamo il CONTESTO. È indispensabile leggere le pagine della storia. Suggerirei di farlo con le pagine de ” La storia” di Elsa Morante. Racconta gli anni della seconda guerra mondiale, il periodo compreso tra il 1940 e il 1946 e oltre, attraverso le storie dei suoi personaggi.
Questo approccio alla storia rientra in una didattica di genere, una didattica cioè non “maschile” nel senso che non parte da eventi pubblici (da sempre riservati e attribuiti agli uomini) ma dalla vita privata, privatissima, di Ida e dei suoi figli. Gli eventi ci sono, eccome, ma fanno da sfondo.
Il fascismo, le leggi razziali, i bombardamenti, le persecuzioni degli ebrei in una Roma immiserita e lacerata, città santa violata, fanno da sfondo alla storia umanissima di Ida, maestra elementare sofferente di una malattia nervosa che la scuote fino a farle perdere i sensi mentre viene violentata da Ghunter, giovane soldato poco rispondente al prototipo del militare tedesco. Ghunter riesce a trasformare suo malgrado la terribile e crudele violenza in un gesto d’amore. A suo modo grato alla donna matura, poco attraente ma rassicurante, le ripara una lampada, le lascia un pò di perizia maschile e un coltellino prima di andare a morire di lì a pochi giorni. Le lascia anche un figlio, il piccolo Useppe.
Il corpo di Ida, smagrito dagli stenti e dall’offerta di quel poco che ha al suo bimbo, ci riporta alla fame che la guerra produce. La paura di Ida, che sobbalza a ogni rombo di aereo e al suono della sirena e corre al rifugio con Useppe in braccio, ci racconta bombe, devastazioni, macerie. E la sua scoperta di avere origini ebraiche secondo i parametri delle ignobili leggi razziali, il terrore di una ipotetica denuncia, la partenza di altri ebrei su un treno da cui non si affacciano volti ma sporgono mani, è la sintesi dello sterminio, non ignoto al nostro Paese.
Dunque il CONTESTO: il secolo breve e lo scempio della dignità umana. La cancellazione della persona, il suo annientamento, la sua incapacità di riconoscersi come tale e di riconoscere l’altro. La dittatura, la guerra, il processo di distruzione di ebrei, zingari, malati, vecchi, in una parola di tutti i “diversi” rispetto all’icona folle della più imperfetta e mostruosa delle perfezioni.
Il raggiungimento del punto di non ritorno: quello in cui si è certi che non c’è argine, legge, tabù, senso morale o religione che possa fermare il cannibalismo folle di una umanità che divora se stessa. Anzi la stessa legge e la morale sanciscono l’atroce banchetto benedetto persino nel nome di un Dio preso in prestito.
In quel punto di non ritorno c’è una sofferenza che non è la foto della sofferenza, che non è il post della sofferenza. Una sofferenza fatta di carne, di sangue, di sudore, freddo e caldo, di occhi sbarrati, di denti che digrignano, di peli che si ergono, di paura, e di orina che scivola, di ferite slabbrate, e pus, e puzza. La sofferenza puzza. Nessun sito, nessun social, nessun video potrà rendervi quella sofferenza, possiamo averne idea solo perché siamo esseri umani, perché forse abbiamo ancora empatia, possiamo riconoscere negli altri il dolore che abbiamo provato, magari per ragioni diverse, e perché abbiamo ragione, e capacità di astrazione. Sempre a patto di avere empatia, e ragione, e memoria. A patto di essere rimasti uomini e donne.
Il contesto dunque. Poi, un grumo di speranza si coagula attorno a un sogno, quello di ritornare a sognare. L’istinto di sopravvivenza di uno riconosce quello dell’altra, dell’altro. le linee, i tratti che ti fanno persona, si ridisegnano attorno a questo grumo che prende forma e ridisegna l’umanità, gli intenti delle nazioni, gli italiani, l’Assemblea Costituente. Metodo pluralistico e patto sociale. I lavori preparatori. Il testo e la firma. Non un testo qualsiasi. la legge più importante dello Stato, sintesi delle diverse posizioni politiche, unite dal collante dell’antifascismo e dalla volontà di voltare pagina nel nome della democrazia, della pace, della libertà. Valori questi, condivisi dalla società civile, mai così vicina alle Istituzioni ancora tutte da costruire.