Di Maddalena Della Moretta e Dania Sabbadini
Come tutti sanno la nostra scuola ha sempre in serbo idee e progetti e la novità di quest’anno è l’apertura pomeridiana della biblioteca.
Innanzitutto è opportuno ricordare a tutti gli studenti che la biblioteca del Meneghini esiste e si trova nello stesso plesso in cui c’è l’ufficio della preside (quello est), al piano dei geometri (il secondo), in cima alle scale a sinistra.
La biblioteca della scuola infatti negli ultimi anni è stata aperta solo per i P.O.N ed alcune riunioni, ma mai per lo scopo per cui è stata effettivamente creata.
Invece da mercoledì 20 novembre la sala sarà aperta dalle 14:30 alle 16:30 tutte le settimane (il calendario è sul sito della scuola, circolare n°33).
Lo spazio sarà utilizzabile come sala studio per “lupacchiotti” solitari o in branco, divisi nelle varie sale presenti a seconda della quantità di silenzio che le giovani belve gradiscono; inoltre sarà possibile usufruire del servizio di prestito dei libri, per diventare delle bestioline con un minimo di cultura, da riportare entro un mese (anche se le cronache narrano che ci siano libri in prestito da anni e mai più tornati…).
Ci comunicano dalla regia poi che più avanti saranno disponibili anche Kindle e eBook e, come sempre, sarà molto gradita la collaborazione da parte degli studenti dignitosamente abili con computer e simili.
Sappiamo quale domanda sta ora sorgendo nelle tua giovane mente, o lettore: perché dovrei fermarmi a scuola oltre l’orario scolastico?
Gli utilizzi della biblioteca possono essere molteplici: si tratta di un’ottima sala dove studiare anche con i compagni, in preparazione a verifiche o interrogazioni, presenziata da docenti che al bisogno possono rispondere a quesiti vari e l’ideale per portare a termine i malefici lavori a coppie (specialmente se tu e il compagno abitate ai lati opposti della Valcamonica).
Infine ricordiamo che si tratta di un posto caldo e tranquillo in caso tu, come la maggior parte del popolo del Meneghini, debba aspettare per ore ed ore il mezzo di trasporto che ti porta a casa. Forse pare poco serio dirlo così ma ricordiamo anche che non è obbligatorio svolgere attività di tipo intellettuale (puoi anche lavorare a maglia o cimentarti con il sudoku strappato dall’ultima pagina del Corriere, è sufficiente che la tua attività non rischi di arrecare disturbo agli altri studentelli con cui condividi l’aula).
Tutte le presenze saranno ben accette, ancora di più quelle di coloro che avranno voglia, tra un esercizio e l’altro, di spolverare qualche tomo.
Ed ora diamo spazio alla recensione del libro “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”, dello scrittore britannico Oliver Sacks.
Innanzitutto potremmo commentare il titolo alquanto bizzarro, ma che rappresenta alla perfezione il carattere del libro: un insieme di brevi racconti che intrecciano quotidianità a stranezze, di carattere comico a ma anche drammatico, analizzate dall’autore stesso, il neuropsicologo Sacks.
Ogni brano rappresenta infatti un paziente sottoposto all’attenzione di Sacks che vede in esso, oltre che la fonte dello studio di una certa malattia, la storia di un uomo o di una donna qualunque, privata della normalità e costretta a ritrovare un equilibrio.
È proprio nel parallelismo di questi due concetti (tratto scientifico e tratto romanzesco del caso, come lo definisce Sacks stesso) che troviamo la particolarità di questo libro: può essere letto sia per studiare e conoscere la neuropsicologia che per interessarsi ad una narrazione del quotidiano più particolare ma non per questo meno reale.
Motivo per cui è consigliabile il libro di Sacks è la forte empatia (e anche stima) che è possibile instaurare con i personaggi: nonostante la narrazione sia fortemente scientifica, salvo qualche osservazione personale dell’autore, ogni paziente viene rappresentato come tale e cioè una semplice persona privata del proprio equilibrio, e che quindi cerca (a volte disperatamente e tragicamente) un modo per tornare alla normalità.
L’esito delle casistiche non è sempre positivo, ma a commuovere sono gli sforzi ed i tentativi che i malati stessi portano avanti, pur di ritrovare sé stessi (di grande impatto il caso de “La disincarnata” che, come suggerisce il titolo, parla della perdita totale da parte di una donna della concezione fisica di se stessa).
Sacks divide i vari casi di cui parla, tutti studiati intorno alla metà del 1900, in Perdite (tra cui il caso “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” o “La disincarnata”), Eccessi, Trasporti e Il mondo dei semplici.
Spiegare il criterio di divisione equivarrebbe, oltre che a sommarizzare, a togliere il gusto della scoperta che, a mio avviso, è quello che potrebbe portare qualcuno di esterno alla psicologia a leggere questo libro.
Infatti sconsiglio vivamente di leggere “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello” se non si è interessati e ben disposti ad imparare e sforzarsi nel capire quello che si sta leggendo.
In poche parole, è sconsigliato a tutti quelli che non farebbero altro che leggere Geronimo Stilton e le sue parole scritte con font improponibili.
Non è assolutamente una lettura facile, anzi, ma porta grande soddisfazione. Può essere inoltre una buona introduzione al campo neurologico, date le spiegazioni mediche e scientifiche frequenti.
Per gustarsi al meglio il tutto sarebbe però consigliato avere almeno un’infarinatura di neuropsicologia, per comprendere al meglio sia il tratto scientifico che quello “romanzesco”.
Non si può però pretendere da parte di studenti delle superiori (nulla togliere all’istruzione da autodidatta) che conoscano la neuropsicologia, ma L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello rimane comunque un libro definibile curioso e a tratti filosofico, utile, nella sua particolarità, a capire ancor meglio il funzionamento del complicato essere umano, non solo scientificamente (o secondo una visione filosofica determinista, come spiegato da Sacks stesso), ma anche umanisticamente.
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