Di Rosaria di Ruvo
“Un figlio é un dono da cielo”; “I figli sono pezzi di cuore”; ” i figli sono come aquiloni: gli insegnerai a volare, ma non voleranno il tuo volo”…
la parola figlio é forse quella che si porta dietro vagoni di aforismi, meravigliose citazioni, riflessioni altissime e toccanti, tutte che ci riguardano in un modo o nell’altro. Perché si può anche non essere genitori, ma tutti noi siamo figli. Siamo tutti accomunati da questa esperienza che dá forma alla nostra carne e che in questa stessa carne si scrive giorno dopo giorno. E i primi giorni di vita a scriverci addosso sono i nostri genitori, con i loro sguardi, il suono delle loro voci, i loro abbracci il loro tenerci stretti, ma anche con l’ indifferenza, la loro disapprovazione, il loro disprezzo e nel peggiore dei casi con la loro assenza.
Ma forse non sono solo quei primi giorni di vita a determinare un destino personale, una storia che potrà essere un successo o un fallimento. Forse l’inizio di tutto é da ricercare nei mesi, nei giorni, negli attimi che compongono quella brevissima parentesi di esistenza condivisa che é la gravidanza.
È il battito di questo doppio cuore al centro delle storie che racconta Paolo di Paolo nel suo nuovo romanzo “Lontano dagli occhi”.
É un romanzo a più voci. Tre voci di donne diverse con “un’attesa” comune. In attesa che una nuova vita prenda forma in loro e da loro; un’attesa inaspettata, non desiderata. Una voce narrante inconsueta, che si svela solo alla fine e che ricostruisce o forse costruisce a ritroso il flusso inquieto di pensieri, desideri, paure, angosce di tre donne alle prese con questo peso che portano dentro, nel loro corpo e che portano addosso come un macigno; un macigno che le chiude in un sepolcro privandole della vita che avevano prima e della vita che fino a quel momento avevano inseguito e progettato. Donne calate nella realtà dei patinati anni ’80, ricostruiti come su di una tela pop dai colori sgargianti e le pettinature vaporose. Donne che inseguono uomini su cui hanno appoggiato i vestiti troppo larghi delle loro aspettative; o inseguite da uomini che la rabbia e la non consapevolezza rende inadeguati, inadatti ad essere dei compagni di strada, tanto meno padri. Del resto da cosa si riconosce un uomo che sta per diventare padre? Il suo corpo non reca i segni di quel cambiamento di vita così radicale; e come e quando giunge la consapevolezza di essere diventati padre?
Un romanzo inteso che evoca una stagione dell’esistenza umana in cui tutto potrebbe e allo stesso non potrebbe essere o diventare. Una scrittura che apre crepe in chi legge, siano essi genitori o no. In un’epoca in cui la genitorialità vive un profondo momento di crisi, questo libro restituisce agli adulti di oggi la grande responsabilità del mettere al mondo una vita, sussurrando che “La più grande eredità che un genitore può lasciare a un figlio, è la memoria del suo amore. Il resto non avrà alcun valore.”