Federico Mallozzi – “One belt, one road” (“una cintura, una strada”) abbreviato in “OBOR”: questo è il nome dell’iniziativa strategicoeconomica che la Repubblica Popolare Cinese sta mettendo in atto per migliorare i suoi collegamenti economico commerciali con l’Eurasia e parti dell’Africa. La “nuova Via della Seta”, come già la chiamano molti, vede il nostro paese come uno snodo fondamentale di questo progetto, dal momento che il 23 marzo è stato firmato dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dal presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping un memorandum che stabilisce la partecipazione italiana al progetto e dà il via ad alcune leggi che regolano i rapporti economici tra i due paesi. L’OBOR non è un semplice accordo commerciale, ma è un’iniziativa che comprende dei veri e propri collegamenti ferroviari e portuali tra Cina e paesi partner: la Cina ha intenzione di costruire numerosi tragitti ferroviari, di cui uno dovrà collegare Pechino a Madrid passando per buona parte dell’Asia centrale e dell’Europa. Altre aree potenzialmente coinvolte in corridoi commerciali o in ferrovie e autostrade sono la Russia, l’Indocina, il Medio oriente e il Pakistan. E non finisce qui: nei progetti del Dragone asiatico c’è anche una “Via della Seta marittima”, suddivisa in due rotte dirette rispettivamente nel Sudest asiatico e, passando per l’Africa orientale, in Europa. Proprio in quest’ultimo progetto è coinvolta l’Italia, che metterà a disposizione il porto di Trieste o quello di Genova. Secondo alcuni studi l’OBOR coinvolgerebbe fino a 68 nazioni: più della metà della popolazione mondiale, tre quarti delle riserve energetiche e un terzo del prodotto interno lordo globale; rappresenterebbe quindi il più grande progetto di investimento mai compiuto prima, superando di almeno 12 volte l’European Recovery Program, ovvero il celebre Piano Marshall. Il mastodontico progetto però incontra parecchi oppositori, sia in Italia che all’estero: in Europa solo l’Italia è uscita dai ranghi e si è detta disposta all’accordo, anche se all’interno dell’esecutivo la Lega e il Movimento 5 Stelle sono divisi. Salvini si è dichiarato scettico, sostenendo che la Cina non è un paese con un mercato libero e che dunque bisogna prestare una particolare attenzione alla trasparenza, e che questo accordo potrebbe intaccare la nostra alleanza con gli Stati Uniti, ostili alle interferenze del colosso asiatico nel vecchio continente. Di Maio invece si è dimostrato più aperto, asserendo che il progetto potrà risollevare l’economia nazionale. Per quanto riguarda il resto del globo, la Cina dovrà scendere a patti con l’India, l’altra grande potenza asiatica, che sembra opporsi al progetto e che potrebbe spingere altri paesi legati ad essa a rifiutarlo. Un solido alleato della Cina è invece la Russia, con la quale esistono già delle solide relazioni economiche e diplomatiche. Ma quanto l’OBOR conviene al nostro paese? I pareri sono discordanti: c’è chi sostiene che l’accordo potrebbe aiutare il paese ad esportare il made in Italy in Cina, come già sta accadendo con gli agrumi dopo gli accordi del 23 marzo; ma è anche possibile che i magnati cinesi della AIIB, la Asian Infrastructure Investment Bank, il colosso dell’economia asiatica che si oppone al FMI e alla Banca Mondiale, possano occupare posizioni strategiche dell’economia e della finanza italiana. C’è inoltre da sottolineare il fatto che il progetto lascia perplessi molti anche perché c’è il rischio che alcune società cinesi, come per esempio Huawei, possano vendere informazioni sensibili al governo cinese. Di fatto, però, ci stiamo muovendo ancora nel campo della speculazione, poiché gli accordi non sono stati ancora discussi. Di certo se la Cina riuscisse nell’intento di creare una nuova zona economica eurasiatica, scalzando definitivamente gli Stati Uniti dalla guida del mondo occidentale, le conseguenze sarebbero epocali.