Manuela Vinario I B – Una volta si diceva: “Mio figlio quando torna da scuola è spaventato. Ieri non voleva entrare: ha paura del suo compagno di classe.” Oggi si dice: “Sono preoccupata: mio figlio è assente, ha gli occhi stralunati, è curvo sul suo cellulare, non esce quasi mai dalla sua stanza.” Una realtà che è da sempre esistita, quella del bullismo. Non ci sarà mai una persona che dirà di non aver avuto modo di assistere a episodi di prepotenza o di non averne mai subiti.
Il bullismo, fenomeno da sempre presente in qualsiasi tipo di contesto sociale, si è però evoluto. Ha fatto un passo in avanti. Come in ogni civiltà che si rispetti, crescono insieme a essa non soltanto pregi o innovazioni, ma anche i difetti. E se prima non si parlava tanto del bullismo, adesso è diventata quasi una moda discuterne e, peggio ancora, praticarlo. Come se fosse un prodotto commerciale, anche il bullismo ha una propria campagna pubblicitaria. Come scrive Francesco Alberoni per il Corriere della Sera, “il bullismo è la forma primordiale di potere”. È una caratteristica, si oserebbe dire, purtroppo fondante nei rapporti umani: c’è e ci sarà sempre qualcuno che avrà il potere e lo userà per esibirsi e schiacciare la persona che designerà come sua vittima.
Il bullismo, però, non è la “presa in giro” di una giornata: è un rituale quotidiano, infido, intenzionale e ricco di lati perversi e oscuri. E ogni rituale, oltre al suo celebrante, ha la propria platea di partecipanti: questi sono i cosiddetti spettatori, coloro che incitano o rimangono indifferenti alla violenza del bullo. Spesso si indica la vittima come l’individuo più debole e ingenuo all’interno di un gruppo, ma è stato visto come anche elementi brillanti e dotati di una forte personalità siano rimasti schiacciati dal bullo. Eppure è proprio lui, concordano gli psicologi, che rappresenta l’unico personaggio insicuro all’interno del “copione”. Non si parla più soltanto di violenza fisica: ormai questa tipologia ha lasciato spazio anche ad un altro tipo di bullismo, quello psicologico; ricatti e aggressioni verbali che mano a mano aumentano fino a diventare una gigantesca bolla in cui è racchiusa la vittima e che, prima o poi, scoppia con esiti e conseguenze imprevedibili. E ciò che preoccupa ulteriormente, al giorno d’oggi, è ormai un altro fenomeno dilagante che ha preso il via dall’avvento dei cellulari e di Internet: quello del cyberbullismo. Il cyberbullismo è operato da qualsiasi persona che, attraverso la rete, si permette di diffamare la vittima, diffondendo contenuti indesiderati o privati o addirittura arrivando a minacciarla e/o incuterle angoscia tramite ripetute aggressioni, dirette o indirette. Il cyberbullismo è diventato una moda, quasi per far vedere di essere “grandi”, oppure è visto erroneamente come un semplice scherzo, a causa dello schermo che divide il bullo dalla sensibilità dell’altra persona, nascosta e ineffabile. In una società come quella attuale in cui è esaltata e favorita l’individualità e la propria creazione di micro-mondi inesistenti ed eterei, l’individuo colpito da cyberbullismo si isola ancora di più, generando una sorte di barriera tra lui e ciò che lo circonda, in primis i suoi genitori. Quando questo avviene, specialmente in età molto giovane (come oggi accade), si può andare incontro a forti squilibri personali e a un’incapacità degli adulti, siano essi insegnanti, amici o genitori, di comprendere cosa succede. La continuità degli atti di cyberbullismo ha forti ripercussioni anche nella vita sociale della vittima, che può arrivare a estraniarsi dagli altri o addirittura a suicidarsi, essendo troppo grande il peso da portare e le forze da gestire incontenibili. Per affrontare queste situazioni complesse e delicate è importante favorire e ricostruire gruppi-squadra, all’interno dei quali la vittima possa trovare sostegno e solidarietà, ma anche punire il bullo, eliminando il potere che pensa di essersi costituito; è indispensabile, inoltre, estirpare la credenza radicata che il bullismo prepari alla vita: in questo modo, non soltanto si vengono a formare individui più forti e civilmente consapevoli, ma viene appianato anche il concetto di debolezza connesso al “mero istinto di sopravvivenza”, come suggerisce nelle sue riflessioni Zbigniew Formello, uno psicologo che in molti saggi e articoli si è concentrato proprio sull’analisi del disagio e dell’aggressività adolescenziale. È importantissima la sensibilizzazione sull’utilizzo del cellulare, ormai divenuto principale strumento di comunicazione e quindi di relazione nel nuovo millennio. E, dato che le relazioni costituiscono la vera essenza della specie umana, è necessario imparare di nuovo a relazionarsi, essendo questa consuetudine, questo bisogno, andato un po’ perduto. Si dà la colpa alla scuola, agli adulti, di questo pericoloso e insidioso fenomeno, ma come si può combattere e fermare un nemico che non si vede? Come, se anche le mamme si chiedono: “Ma cos’ha mio figlio?”