di Chiara Paparella e Flavio Sabino
“A TESTA ALTA”, regia di Francesco Lambri, è stato lo spettacolo teatrale sul tema della Legalità che si è tenuto sul palco dell’Aula Magna della nostra scuola. E’ un tributo a due vite spese interamente per la lotta alla mafia: quella “di un uomo di politica e cultura” e quella “di una ragazza morta prematura”, accomunate dalla lotta che non può dirsi ancora conclusa. Pio la Torre e Rita Atria si raccontano attraverso gli aneddoti di eventi accaduti che hanno segnato la loro storia con gli atroci epiloghi che già conosciamo.
Nello spazio del palcoscenico gli oggetti raccontano attraverso il corpo degli attori, i personaggi di Pio la Torre e Rita Atria, in un montaggio temporale alternato. I monologhi sono stati fonte di forti emozioni e hanno permesso a noi giovani spettatori di apprendere due periodi storici della nostra Repubblica: quello che ha portato all’approvazione della legge Rognoni-La Torre e quello che ha portato alla morte il magistrato Borsellino. “L’unico sistema per eliminare tale piaga è rendere coscienti i ragazzi che vivono tra la mafia che al di fuori c’è un altro mondo fatto di cose semplici, ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di questa o di quella persona, o perché hai pagato un pizzo per farti fare quel favore. Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo.” Diceva Rita Atria. Pio La Torre è stato un politico e sindacalista italiano, segretario del partito comunista e fondatore della legge Rognoni-La Torre, l’unica legge della costituzione italiano contro la mafia. Lui cominciò la sua lotta perché Cosa Nostra aveva cominciato a rubare i terreni agricoli siciliani per costruire case e fabbriche per le loro attività. Questa lotta lo porta a scoprire che la mafia ha un’influenza anche sul governo di Palermo e, per contrastare il suo lavoro, lo Stato lo chiude in isolamento per un anno e mezzo. Una volta uscito di prigione ha continuato la sua lotta fino alla morte, avvenuta nel 1982 a causa della legge da lui redatta che catalogava l’associazione mafiosa come reato da punire con la confisca di tutti i beni e con il carcere. Rita Atria nacque a Partanna, un paesino sotto il controllo della mafia. Suo padre, mafioso vecchio stampo, fu ucciso da un altro clan quando lei aveva solo 12 anni e assistette all’omicidio in prima persona. Negli anni successivi ebbe uno stretto rapporto con il fratello Nicola, il quale rivelò quello che lei non avrebbe mai dovuto sapere. Seguendo le orme del padre egli morì, vittima di mafia. Piera, moglie di Nicola, decise di collaborare con la giustizia, convincendo anche Rita a lottare. La madre la rinnega, è un’onta per la famiglia. È una femmina e il genere nella mentalità mafiosa ha il suo peso, in più lei vive il trauma del vivere mafioso sulla sua pelle. Rita, quindi, raccogliendo i taccuini su cui aveva appuntato tutte le attività mafiose rivelatele dal padre e dal fratello, collabora con Paolo Borsellino, con cui si lega come ad un padre, chiamandolo anche “Zio Paolo”. Si suicidò a 17 anni, il giorno dell’attentato a Borsellino, buttandosi dal settimo piano del condominio in cui viveva, perché si sentiva sola ora che lui non c’era più. Morto lui, unico uomo di stato pronto a darle protezione, dice lei, finisce anche la sua vita. Il funerale fu organizzato dai suoi coetanei e, qualche mese dopo, sua madre distrusse a colpi di martello la sua lapide. La stessa storia di Peppino Impastato al femminile, con ancor meno spazio nella cronaca giornalistica, se non per ricrearne la suggestione emotiva del suicidio. È un delitto mafioso comunque, un delitto commesso dall’intera nazione.
Dopo la performance c’è stato un incontro con il regista e con gli attori per dibattere sulle questioni trattate e sulle curiosità suscitate. Non è stato lo spettacolo sulle stragi, né la storia di uomini mafiosi, ma la biografia di esseri umani che hanno fatto della lotta la loro ragione di vita, due vite spese per la stessa motivazione. La nostra scuola, attenta a queste tematiche, ha programmato altre attività nei prossimi mesi e noi siamo soddisfatti del lavoro intrapreso che ci coinvolge emotivamente.
Attraverso gli esempi di vite memorabili è possibile raccontare una storia diversa, quella che non troviamo nei libri di scuola, ma che ha contribuito a rendere questo paese migliore. Sono degli esempi per noi ragazzi, un messaggio importante. Bisogna credere fermamente nei principi che fondano la nostra società. La legalità è il cardine su cui si fonda e si muove la nostra democrazia, lo strumento che ci permette di avere diritti, di rispettare i doveri civili e le leggi e ci rende cittadini migliori.