//dal concorso “La donna si racconta”

dal concorso “La donna si racconta”

di | 2019-02-18T05:10:39+01:00 18-2-2019 5:10|Alboscuole|0 Commenti
Il velo della bellezza di Bijaoui Salma 2^Od- Afghanistan, Kabul 13/01/1978. Oggi è il mio compleanno: dovrei essere felice, anzi devo esserlo. Purtroppo sono una ragazza e quindi mi limito a fare gli auguri sotto voce, a farmi gli auguri perché nessuno ricorda il giorno in cui sono venuta al mondo. Nel mio Paese nascere donna è una maledizione perché si dice che lei sia portatrice di male come la peste. Si dice, anche, che sia portatrice di vergogna,di offese, di minacce. Tutto questo lo sento maledettamente sulla mia pelle perché, per me, è assolutamente vietato uscire da sola, a meno che non vada a pascolare o a mungere le mucche, ma devo sempre essere accompagnata da un Mahrem, ovvero un uomo di famiglia. Quando esco devo avere la testa sempre bassa rivolta a guardare i miei piedi,non la devo mai alzare. Se per caso un uomo guarda i miei occhi anche per un istante,al ritorno sono guai seri. Dico guai seri, perché ciò che mio padre mi fa è indescrivibile. Non mi piace stare qui,mi sento prigioniera di me stessa,dei miei genitori,di mio fratello e della mia città. Oggi compio 17 anni ma sembra un giorno qualunque. Probabilmente se fossi vissuta in Europa, oggi avrei organizzato la festa con le mie amiche e avrei ballato con loro fino allo sfinimento,ma purtroppo non è possibile. Devo ritornare alla dura realtà: durante la giornata il mio lavoro si svolge in casa, tra il bucato e il gregge. Ormai sono abituata, è una routine continua che sinceramente mi ha reso una persona “vuota”. Vorrei andare a scuola, truccarmi,vestirmi “normale”. Vedo in tv ragazze che indossano tranquillamente jeans e maglietta mentre io mi vedo con il turbante blu e mi chiedo il perché di questa disparità,il perché di questa disuguaglianza tra me e loro. Stasera ha detto mamma che ci saranno ospiti, li ha definiti ospiti “particolari” ma non capisco perché li ha chiamati così. Ore 20.30: bussano alla porta. Mio padre va ad aprire e io, dalla fessura della porta della cucina, vedo un signore sulla quarantina, alto, di bella presenza: ho capito subito che è un uomo d’affari,ma che ci fa da noi? “Sarà un amico di papà”, ho pensato tra me e me. Servita la cena,sono andata in cucina (come è mia abitudine) a mangiare con le mie sorelle. A noi donne è proibito mangiare a tavola con gli ospiti, tutto normale.  Al termine, mamma e papà mi chiamano in salotto, cosa insolita. Mi precipito come un razzo e mi dicono di sedermi vicino all’ospite. Io obbedisco subito e, dopo neanche un minuto, mi travolge un uragano:l’ospite sarà il mio futuro marito!!! Cosa stanno sentendo le mie orecchie? Io sposa sua?  Mi alzo e urlo, dico no, mi oppongo alla loro parola. Sento uno schiaffo freddo colpire le mie guance e, subito dopo, il vuoto. Mi risveglio nel mio letto con accanto mamma che piange disperata; le dico che non voglio, loro non possono obbligarmi, non hanno nessun diritto per farlo. Mamma mi stringe la mano e mi dice che quell’uomo d’affari è il capo di papà: lo ha licenziato per il poco lavoro ma poi papà lo ha supplicato proponendo di prendere sua figlia, ovvero io, pur di lasciarlo lavorare. Ahmed,il nome del capo di mio padre, ha accettato senza pretese, sa chi sono e che ho solo 17 anni, quindi una ragazza pura. In quell’istante mi sono sentita male, ma veramente male. Papà mi ha “venduta “per un posto di lavoro!!! È sera, sento i miei che discutono e uno schiaffo di mio padre colpisce mia madre perché lei si è opposta a questo“matrimonio”. La sento piangere,poi… il silenzio. Chiudo gli occhi per addormentarmi ma ricordo che oggi è il mio compleanno. Solo le lacrime mi fanno compagnia e cominciano a scendere come cascate. Mi continuo a chiedere: perché proprio io? Sono passate circa due settimane dalla tragica notizia. I miei, o meglio mio padre, ha già accettato questo matrimonio e quindi sono iniziati i preparativi.<< Fra meno di un mese ci sarà il matrimonio!!!>> urla dal salotto mio padre, (se così si può chiamare!) I miei sogni,la mia vita, tutto sta andando in frantumi. Io non riesco ad immaginarmi a letto con un vecchio, con le sue putride mani su di me, sul mio corpo e il suo fiato ansimante sul mio collo. Scappo? Dove vado? Non conosco nessuno e non ho documenti per evadere dal mio paese. L’unica soluzione è accettare e stare in silenzio: cosi è stato, è accaduto. Il 23 febbraio è stato celebrato il matrimonio: piccola festa, gli uomini in una stanza e le donne in un’altra. Io seduta in mezzo a loro, coperta da un velo bianco ma le lacrime percorrono il mio viso, una dopo l’altra. Dopo il pranzo e il dolce, io e mio marito ci siamo ritirati nella nostra casa, e che casa!!Mi trovo davanti ad una villa, grande forse più di 500 m. quadrati. All’ interno ci sono statue enormi,tappeti colorati e pregiati, lampadari di grosse dimensioni. Tutto bello, finchè non si è precipitato l’uomo, cioè mio marito, vicino a me. Sorridente ed elegante come sempre, mi dice:<<Ecco la nostra casa>>.Io mi sono limitata achiedere cortesemente la mia camera e lui, correggendomi, risponde: << La nostra camera>>Accenno un sorriso e mi avvio, ma noto una stanza: entro, è di colore celeste, è tutta disordinata,panni per terra, pallone da calcio sopra il letto. Ho capito subito che deve essere di un ragazzo, ma di chi potrà essere? La “prima notte” è arrivata:orribile. Un male atroce,sembra un cane inferocito. Alle 10 di mattina sento bussare alla porta. Sono sola a casa, Ahmed lavora ma apro ugualmente: è un ragazzo, capelli ramati e occhi celesti. Lui, intimorito dalla mia presenza, mi chiede:<< Chi sei? >> Io rimango incantata a fissarlo, è di una bellezza unica. Successivamente vengo a sapere che lui è Amir, il figlio di mio marito. E’rimasto scioccato dalla notizia del matrimonio di suo padre. Un giorno li sento litigare: Amir contro suo padre, che considera un verme e mio marito che mi ritiene un animale, anzi sostiene che una vacca ha più valore di me. I giorni, i mesi successivi sono stati terribili: decido di farla finita e mi taglio le vene. Mi ritrovo in ospedale:accanto a me c’è Amir che mi stringe le mani. Sento una sensazione strana,sono felice della sua presenza. Ha passato la notte con me,mentre mio marito è a casa a dormire. Sono trascorsi anni da quel brutto momento, ho lasciato Ahmed e ora sono sposata conAmir. Abbiamo avuto una figlia,Lina che ha gli occhi di suo padre. Lei studia, indossa i jeans ed esce con le amiche. Cerco di offrirle ciò che io all’età sua non ho avuto:l’adolescenza. Non so che fine abbia fatto Ahmed,so soltanto che si è rassegnato a cercami, io e Amir viviamo in Australia. Vivere in Afghanistan non era possibile,non c’era futuro,ma grazie all’aiuto di Amir, ora sono un’assistente sociale,aiuto gli altri, soprattutto donne. Una donna non è un oggetto, una cosa, è una persona come l’uomo, anzi ha più potere dell’uomo perché ha pazienza, saggezza, carattere forte e deciso. Queste poche pagine mi hanno accompagnato durante la fase più critica e di certo non le getterò, le terrò con me. Ho capito che si deve avere la forza di rialzarsi dopo ogni caduta. Sono donna, ho affrontato il peggio ma grido a tutte di non arrendersi mai perché nessuno può calpestare o distruggere ciò che è stato creato.