di Francesco Magi- Mauthausen è un centro dell’Austria, situato a trenta chilometri da Linz, in una distesa di verde. Durante la Prima Guerra Mondiale lì c’era un campo di concentramento per prigionieri italiani.
Nel verde sorgeva “un baluardo in pietra di sei metri”, con in mezzo un portale solenne come quello di una cattedrale, dal quale si divaricavano mura alte e massicce, estese nei due sensi a perdita d’occhio, sulle quali c’era una rete di filo spinato, interrotta ogni cento metri da torrette di guardia, con garitte davanti alle quali c’era una sentinella con in mano un mitra.
Appena vi si entrava, le S. S., usando staffilate, “scientemente e scrupolosamente” terrorizzavano, deprimevano, devitalizzavano i nuovi deportati. Il campo era luogo di terrori, di torture, di massacri, di incenerimento di uomini, ma soprattutto era un luogo dove l’uomo, che nei millenni era diventato “di religione, morale, dignità, sapienza, educazione, gusto persino”, veniva retrocesso allo stato di sub-uomo; una degradazione mai prima conosciuta.
Tra i tanti deportati, Lamberto Sorrentino, giornalista, arrestato dalla Gestapo, perché in articoli sul “Tempo” aveva rivelato che i tedeschi avevano compiuto massacri e non erano affatto arrivati alle zone petrolifere russe, come volevano far credere. Fu l’unico corrispondente di guerra finito in un campo di sterminio tedesco.
Sognare a Mauthausen, pubblicato nel 1978, non era solo il libro di un giornalista, era anche il libro di un narratore, avendo avuto tutto il tempo di penetrare la realtà, l’essenza, la verità di quel che aveva in sé.
Nel libro, del vivere del campo, dove era stato assegnato al magazzino di vestiario della S. S., con il compito di schedature, riporta aspetti, momenti, timori, conversazioni, massacri; ricorda uomini che continuarono a vivere ed uomini che morirono ben presto. Rivela come il campo fosse una specie di limbo, “non tra l’inferno ed il passato, ma tra la vita e la morte”; dove ci si ritrovava “con un piede di qua ed uno nell’Aldilà”, in una “condizione inumana o sub-umana”, che sarebbe potuta diventare una condizione super-umana nel tempo del trapasso.
Sognare a Mauthausen, che verso la fine contiene due particolari verità.
La prima è che non sempre i timori, le angosce, le sofferenze redimono. Dopo che le S. S. avevano abbandonato il campo, e dopo che i primi americani che erano giunti erano ripartiti, a dirigere il campo fu il Comitato segreto di resistenza (costituito da altri che forse non avevano sognato), che si avvaleva di squadre armate. Almeno lì, almeno in quel momento, tutti i prigionieri del campo avrebbero dovuto considerarsi come fratelli, ed essere considerati come tali. Invece furono stilate liste di prigionieri da eliminare se dopo cinque giorni non fossero ritornati gli americani. In un primo tempo lo stesso Sorrentino era nella lista.
L’altra verità è che dei settemila prigionieri un buon terzo erano politici, così come composta da politici era la maggioranza dei 4670 italiani che, in una quindicina di mesi, gli ultimi della guerra, arrivarono nel campo di Mauthausen. Di questi solo 768 ne uscirono vivi.