NICOLA UCCIERO – Quella mattina, come sempre, stavo andando a scuola. Ma la solita strada, le solite case, i soliti negozi, era come se non li ritrovassi più. Uomini in chitone o in clamide e donne in lunghi pepli mi camminavano accanto.
Credo che sia stato proprio quello il giorno in cui, beandomi del mio sogno ad occhi aperti, mi sono reso conto che stavo iniziando a osservare la realtà da una nuova prospettiva. È stata quella la prima volta in cui ho realizzato di aver fatto la scelta giusta.
Ricordo ancora lo sguardo severo di mio nonno che mi penetrava l’anima, mentre l’odore della carta dei poderosi tomi ammassati sugli scaffali strabordanti della libreria nel suo studio inondava i miei sensi.
«Devi frequentare quella scuola. Questa famiglia lo fa da generazioni».
Quell’imperativo risuonava nella stanza ed io, incapace di reggere l’austerità nei suoi occhi, fissavo la finestra alle sue spalle. Osservavo il mio riflesso, l’immagine amorfa e insensata di un quattordicenne che non sa che fare della propria vita.
Ricordo la voce dolce della mia insegnante che mi sorrideva pensosa, percependo il mio smarrimento.
«Sì, non è facile, ma tu puoi. Ti darà tanto».
Avevo sempre nutrito una fervida stima per lei, per la sua assennatezza e la sua profonda empatia. Eppure quella volta nemmeno il suo delicato sorriso riusciva a sciogliere il nodo intricato del mio travaglio interiore.
Così, per nulla certo della mia decisione, mi sono trovato tra quei banchi.
Con il passare dei giorni, tra le pagine dei miei nuovi libri, ho trovato un mondo. Le immagini degli antichi edifici dalle imponenti colonne, le battaglie gloriose tra eserciti memorabili, le conquiste sconfinate, i viaggi e le peripezie di mitici eroi mi hanno aperto nuovi orizzonti. Le humanae litterae, espressione che prima mi suscitava inquietudine, mi hanno reso una persona nuova. La cultura di popoli che credevo morti si è rivelata più viva di quanto mai avessi potuto immaginare: mi ha insegnato che il corpo è il tempio del nostro benessere e che una mente florida è l’armatura più coriacea nella lotta per la libertà. Lo studio della filosofia, che mi era sinonimo di dialettica soporifera, di arte delle orazioni chimeriche, ha dato risposte a domande che mi rendevano insonne. I valori poco chiari che la mia famiglia tentava di trasmettermi con noiosi discorsi e continui rimproveri ora hanno trovato un nome: fides, pietas, clementia e soprattutto humanitas. Ora lo so, siamo tante creature deboli, ma insieme siamo invincibili, siamo fragili giunchi, ma siamo giunchi pensanti. So che il dolore altrui è anche il mio perché humani nihil a me alienum puto.
Tra quei banchi un vortice di vitalità mi ha travolto, ho preso coscienza di avere doveri verso me stesso e verso chi mi circonda. Tra quei banchi mi sono sentito crescere e ora credo di sapere perché questa navigazione termina con quella sfida temuta, quello scoglio da aggirare che tutti chiamano “maturità”.
Anzi no, ora credo che quella non sia la fine. Dietro quello scoglio si apre una nuova rotta, un nuovo viaggio, in cui mettere a frutto ciò che qui con tanta fatica ho tentato di apprendere: essere un uomo.
Proprio quella mattina, mentre camminavo per strada, mentre le auto correvano nel frastuono urbano, io vedevo uomini in chitone e donne in lunghi pepli. Mentre le radio vomitavano la loro musica elettronica, io riuscivo a distinguere una voce melodiosa che mi sussurrava:
«Avanza, giovane di un’epoca nuova,
lungo la strada tracciata dai padri.
Sempre combatti, la gloria rinnova,
rispetta la vita, i valori a te sacri.
Porgi la mano, sorreggi il compagno,
sappi cadere e anche chiedere aiuto.
Sia la conoscenza il più grande guadagno
che fatto non fosti a viver da bruto».
E adesso mi trovo qui: fra poco è il mio turno. Dovrò entrare in quella stanza e affrontare il mio esame, la prima piccola, grande sfida della mia vita.
Sono qui seduto e già sento la nostalgia.
Sto per lasciarti e non posso fare a meno di dirti: «Grazie Liceo Classico, perché un po’ d’anima io te la lascio».