di Paola Martinelli (classe 2^E) – In questi giorni la nostra professoressa Sereno, per l’occasione della celebrazione del 20 novembre, la giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, data in cui si ricorda quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato, nel 1989, la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia, ci ha esortato a guardare il film a cartone di Iqbal: “Bambini senza paura”, tratto dal libro di Francesco d’Adamo.
Questa data coincide con un duplice anniversario, nel mio paese, Angri, il 22 novembre del 1914, nacque un uomo che poi diventò prete di nome Enrico Smaldone, a cui è dedicata anche la scuola che frequento. Quest’uomo dedicò tutta la sua vita a dare a tanti ragazzi abbandonati un aiuto, una protezione, una casa, un calore familiare e un avvenire sicuro.
Il film, di cui vi parlavo prima, racconta la storia di un bambino pakistano, Iqbal, che fu venduto come schiavo per fabbricare tappeti. Alla fine del film, il ragazzino lancia un messaggio molto importante, nel quale si dice che nessun bambino dovrebbe mai impugnare uno strumento da lavoro. Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono penne e matite. Il film si conclude con un rimprovero, da parte di Iqbal, per il comportamento degli adulti, gli stessi che avrebbero dovuto proteggere i bambini. Egli gli chiede, dove fossero stati quando quegli uomini disonesti li maltrattavano, quando li rinchiudevano in un sotterraneo buio e spaventoso e non li portavano dal medico quando stavano male. Quei signori fuorilegge non rispettavano i diritti dei bambini, il loro unico scopo ere quello di far soldi per se stessi.
I bambini devono fare i bambini, hanno il diritto di giocare, divertisti e imparare tante cose nuove, i bambini devono avere la propria libertà, hanno il diritto ad un nome ed a una famiglia che li ami, non hanno il diritto di essere sfruttati.
Nel conoscere e comprendere la vita di quel prete angrese di nome Enrico e nel mettere insieme queste due esperienze, mi sono accorta che quest’uomo, a differenza di quegli adulti di cui parlava Iqbal, non è stato a guardare con indifferenza la sofferenza di tanti ragazzi rimasti abbandonati durante la seconda guerra mondiale. Suo fratello, Filippo, diceva che Don Enrico aveva nel sangue, l’amore per i più bisognosi, per quei ragazzi che erano figli della guerra, senza niente, bisognosi di un pezzo di pane e di qualcuno che li aiutasse a crearsi un futuro migliore. Questi figli della guerra, come li descriveva il professor Gaetano Marra sul “ Risorgimento Nocerino”, erano quei ragazzi dalla mano lesta e dalle bestemmie facili che Don Enrico guardava con infinita tristezza, ragazzi lontani dalla scuola, dalla chiesa, dalla famiglia e che vivevano di espedienti per procurarsi un tozzo di pane.
Per questo motivo in Don Enrico nacque un sogno, quello di realizzare qualcosa per questi ragazzi abbandonati. Lo ispirò la visione di un film americano intitolato “ Gli uomini della città dei ragazzi”, interpretato da Spenser Tracy. La visione di questo film lo convinse ancora di più di voler portare avanti il suo progetto, quello di dover creare qualcosa per questi ragazzi sfortunati e fu così che il 19 gennaio del 1949 si posero le basi che lo portarono alla realizzazione del suo sogno: La Città Dei Ragazzi.
Una città con una scuola, officine, una falegnameria, una chiesa, un campo sportivo e tutto ciò che poteva garantire ai ragazzi una vita e un futuro migliore.
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