La Chiesetta di Piedigrotta: a Pizzo Calabro un tesoro d’arte
A Pizzo Calabro, in uno dei centri più visitati della provincia di Vibo Valentia, si trova un luogo di straordinaria bellezza, un luogo spettacolare al confine tra storia e leggenda: la Chiesetta di Piedigrotta. Una vera e propria caverna, situata a pochi metri dalla riva del mare cristallino della Costa degli Dei, scavata dentro rocce sedimentarie di origine marina. La leggenda, all’origine di questo luogo, accresce lo stupore del visitatore che per la prima volta varca le mura della Chiesetta, trovandosi in un posto senza tempo, di raro fascino, un tesoro d’arte scolpito nella pietra. Da centinaia di anni, si tramanda la leggenda di un naufragio – sebbene non esistano fonti scritte che lo attestino – avvenuto intorno alla metà del ‘600. Una violenta tempesta sorprese nel Golfo di Sant’Eufemia un veliero con equipaggio napoletano. I marinai, temendo per la loro vita, cominciarono a pregare, rivolgendosi alla Madonna di Piedigrotta, la cui effige era custodita nella cabina del capitano. Fecero voto alla Vergine che, in caso di salvezza, avrebbero eretto una cappella in suo onore. La nave s’inabissò e i marinai riuscirono a salvarsi, raggiungendo a nuoto la riva. Gli unici resti del veliero, giunti sul bagnasciuga, furono il quadro della Madonna di Piedigrotta e la campana di bordo datata 1632. I naufraghi, ormai salvi, pronti a mantenere la promessa data, scavarono nella roccia una piccola cappella e vi collocarono la sacra immagine. La leggenda narra che ci furono in seguito altre tempeste e il quadro, trascinato via dalla furia delle onde, fu sempre ritrovato nel posto, dove il veliero si era schiantato contro gli scogli. Più tardi, verso il 1880, la storia narra, invece, che un artista locale, Angelo Barone, che aveva una piccola cartoleria al centro del paese, affascinato dai racconti dei marinai del borgo di Piedigrotta, decise di dedicarsi all’ampliamento della grotta. Dopo averla ingrandita, l’artista scolpì su grossi blocchi di roccia statue raffiguranti la vita di Gesù e dei Santi. Barone si dedicò alla sua impresa sino alla fine dei suoi giorni. Un’immensa eredità artistica, racchiusa in una grande teca, custodita e perpetrata dal figlio Alfonso che terminò l’opera del padre, scolpendo capitelli con angeli, bassorilievi con scene sacre, statue raffiguranti San Giorgio che uccide il drago (Santo protettore della città di Pizzo), San Francesco di Paola che attraversa lo Stretto di Messina, Sant’Antonio di Padova con gli orfanelli e altri gruppi di statue. Nessuno continuò il lavoro di Alfonso Barone, dopo la sua morte. Solo nel 1969, lo scultore Giorgio Barone, (nipote dei due artisti) di ritorno dal Canada, dove era emigrato, restaurò in parte la chiesa e scolpì in un angolo due medaglioni raffiguranti Papa Giovanni XXIII e John Kennedy.
OLENA CARACCIOLO