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“Uno così”: un titolo semplice per un libro, l’ultimo di Don Marcello Cozzi, dietro il quale si nascondono temi profondi e complessi. Chi può essere davvero “uno così”? Il titolo evoca una persona apparentemente comune, o assolutamente estranea e distante da noi? Né l’una né l’altra. “Uno così” è semplicemente chi, al di là di ogni giudizio affrettato, ha una storia che merita di essere raccontata.
“Uno così” di Marcello Cozzi racconta la storia di Giovanni Brusca, uno dei protagonisti più controversi e spietati della mafia siciliana. Responsabile, come esecutore o mandante di più di 150 omicidi alcuni dei quali particolarmente efferati, Brusca è ricordato come “il macellaio di Capaci”, colui che azionò il telecomando nella strage che nel 1992 tolse la vita al giudice Giovanni Falcone, a sua moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta.
Cozzi esplora il lato umano di Brusca, un uomo che dopo essere stato simbolo della violenza mafiosa, ha scelto di collaborare con la giustizia , lo lascia parlare direttamente e lo ascolta.
Senza filtri e preconcetti, senza condanne non espiabili né tentazioni assolutorie. Lo ascolta senza dare al lettore l’illusione di un lieto fine. Brusca racconta una vita che almeno in superficie sembra normale. Cresciuto in una famiglia di contadini a San Giuseppe Jato, trascorreva le sue giornate di bambino, in campagna, giocando e condividendo momenti felici con il nonno. La normalità tuttavia, era solo apparente. Il padre, Bernardo Brusca, era un capomafia legato ai Corleonesi e, seppur assente per lunghi periodi, esercitava un’influenza profonda su Giovanni. Quando Bernardo torna definitivamente a casa , egli assume il controllo della famiglia. La figura di questo padre non lascia spazio a scelte autonome, spingendo Giovanni sempre più verso il mondo mafioso. A diciannove anni per dimostrare il proprio “valore”, Brusca commette il primo omicidio insieme a Leoluca Bagarella. Questo gesto segna il suo ingresso ufficiale nella mafia suggellato da un rituale di affiliazione alla presenza di Totò Riina e di altri boss.
Così diventa un ingranaggio fondamentale della macchina mafiosa. Convinto inizialmente che Cosa Nostra fosse un’istituzione più che un’organizzazione, non ha dubbi, ne diventa esponente fedelissimo salvo poi rendersi conto del prezzo personale e morale di quella scelta. Brusca descrive la Mafia come un “altro stato”, all’interno del quale lui e gli altri mafiosi credevano di combattere una guerra giusta, ” un orizzonte etico, culturale e valoriale per cui spendersi”. Brusca partecipò attivamente alla fase più sanguinosa della strategia di Cosa Nostra quella delle stragi . L’attentato a Falcone rappresentò per lui un messaggio in codice da inviare all’ esterno : nessun magistrato può ritenersi al sicuro.
Il 22 novembre scorso, abbiamo avuto l’opportunità di incontrare, nell’aula magna del nostro istituto, Marcello Cozzi. L’evento , organizzato nell’ambito delle attività di educazione civica , ha permesso un confronto franco e stimolante degli studenti con il sacerdote lucano, già Vicepresidente nazionale dell’associazione “Libera”, da anni impegnato nella lotta alle mafie , nell’educazione alla legalità e nell’accompagnamento ai pentiti di mafia e ai testimoni di giustizia. Proprio questo impegno indiscusso dell’autore rende chiaro e sgombra il campo da ogni dubbio circa il senso del suo ruolo nel percorso del collaboratore di giustizia.
“Uno così- Giovanni Brusca si racconta” non è un libro che passa inosservato e non è un libro facile da leggere. Qualcuno potrebbe chiedersi se il racconto relativo all’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, quello forse più crudo a detta degli studenti, sia necessario. Di sicuro è vero. E la verità è necessaria. Di sicuro non c’è nulla di gratuito. Quel racconto colpisce come un machete il lettore, gli spacca in due l’anima. Ma tra il racconto di Brusca e il lettore stesso, c’è un altro pezzo di verità: il richiamo costante e fortissimo al dolore delle vittime. Non è solo un doveroso ricordo ma la cornice di senso nella quale il racconto si colloca.
Cozzi (che non si definisce uno scrittore pur avendo al suo attivo numerosi libri pubblicati), con un approccio laico e privo di moralismi, ha spiegato quanto sia fondamentale ascoltare senza pregiudizi, anche chi ha compiuto atti orribili. “Io non ho nulla da insegnare,” ha detto, “ma tanto da apprendere.” Per lui, ogni incontro con i collaboratori di giustizia non è solo un momento di confronto, ma una palestra di vita che “allena i muscoli del cuore”. L’autore ha sottolineato la complessità del personaggio. Brusca che non è mai stato presentato come un mostro assoluto, ma come un uomo, cresciuto in un contesto che l’ha spinto, è molto probabile, a un destino criminale. Cozzi ha raccontato di averlo incontrato per la prima volta a Rebibbia, con l’aspettativa di veder apparire un essere assolutamente riconoscibile per la sua inequivocabile malvagità, un mostro appunto che si ha paura di guardare.
E invece, ha scoperto la “banalità del male”: Brusca è apparso come una persona normale, capace di azioni mostruose. Questo ha sollecitato gli studenti a chiedersi : quanto incidono il contesto e l’educazione sulle scelte individuali? E, al di là delle scelte fatte, può un uomo come Brusca davvero cambiare? Non esiste una risposta univoca. L’autore è stato chiarissimo su questo punto : i percorsi, le motivazioni, gli esiti sono differenti da pentito a pentito, perché ognuno è una persona diversa e “ogni persona- ha detto citando Padre Turoldo- è un’infinita possibilità.
L’incontro si è concluso con un messaggio forte: comprendere Brusca significa comprendere la mafia. E solo comprendendola possiamo sperare di combatterla. Come ci ha spiegato don Marcello, “Uno così” non è solo una storia di mafia, ma una storia di scelte, dolore, e possibilità di riscatto. Ascoltare queste vicende non ci rende indulgenti verso i crimini, ma ci aiuta a sviluppare un senso critico, empatico e profondo verso i percorsi umani più complessi.
Padula Nicol