di Aurora Del Biondo
classe III A
Scuola Secondaria di I grado “Umberto I” di Lanciano (CH)
Dagli albori della storia l’uomo è sempre stato
ossessionato da una tematica: l’altro, ciò che è
diverso da sé. Qui è racchiusa la ragione
dell’attrazione e del timore per l’alieno, per ciò
che arriva da mondi sconosciuti: in fondo
nell’immaginario collettivo dal Cielo può
arrivare tanto la Salvezza quanto l’Apocalisse.
Già l’etimologia di questa parola ci rende bene questo concetto: deriva infatti dal
latino alienus ovvero straniero, estraneo, ma anche avverso. Se dovessimo
rappresentare come l’uomo abbia vissuto questo rapporto, non possiamo fare
altro che rivolgerci al cinema che è la massima espressione di un percorso di
conoscenza del mondo alieno da parte delle masse. Qui, infatti, è massima la
rappresentazione visiva tanto dell’alieno privo di sentimenti e invasore, quanto
di una civiltà lontana desiderosa di contatto. In un certo qual modo è quasi una
metafora del contatto che abbiamo con gli altri a volte per noi alieni, percepiti
come pericolo, ma anche fonte di desiderio e attrazione. Nel cinema l’alieno è
quasi sempre il mezzo per mettere in scena i timori di un’epoca. Così negli anni
’50, in piena guerra fredda, la cinematografia dà voce all’incubo di un nuovo
conflitto che vive nel ricordo della Seconda Guerra Mondiale. I film dell’epoca,
prevalentemente americani, rappresentavano il mondo alieno come crudele e
invasore quasi a neutralizzare e sminuire la corsa allo spazio che i sovietici
avevano già iniziato. È negli anni ’60 invece che il cinema occidentale si avvicina
all’universo anche perché la distanza fisica tra l’uomo e il cielo si accorcia con
l’allunaggio del ’69. L’uomo sulla Luna conquista un nuovo territorio e nella sua
posizione da dominatore sente lo spazio come un territorio sconosciuto, ma come
qualcosa che può essere domato dalla scienza e dalla tecnologia. Non mancano
però dei messaggi di allerta nei confronti dell’alieno: “Odissea nello Spazio” di
Kubrick mostra per la prima volta lo scontro tra computer e uomo, il primo
conflitto con l’IA, e “Il pianeta delle Scimmie” ci porta in un mondo governato
dalle scimmie dove gli uomini sono sottomessi, perché responsabili della
distruzione del proprio pianeta quasi a suggerirci il pericolo nucleare, espressione
del male per un’epoca che stava per accogliere i movimenti pacifisti. In maniera
embrionale troviamo già le moderne tematiche della gestione dell’IA e della
salvaguardia ambientale che si svilupperanno fino ai giorni nostri. Dagli anni ’70
invece la rappresentazione dello spazio altro non è che la rappresentazione del
mondo trasposto e idealizzato nel futuro diviso e combattuto tra bene e male
come in Guerre Stellari (siamo negli anni della guerra in Vietnam) , nonché la
rappresentazione della necessità dell’integrazione con il diverso come ci dimostra
il Messaggio di Arecibo del 1974, un messaggio in linguaggio binario lanciato
nello spazio come primo tentativo di contatto con le civiltà aliene, la meravigliosa
amicizia tra ET ed Elliot o la segreta collaborazione tra governi e alieni nella più
recente serie “Men in Black” dove entrambe le parti lavorano per mantenere la
pace non più solo sulla Terra, ma in tutto l’Universo. In un certo senso non è più
la galassia a inglobare la Terra, ma la Terra a globalizzare l’universo e a
immetterla nella propria scala di valori. Il cinema, però, è solo l’ultima tappa di
una ricerca già presente nella letteratura da Platone a Plinio fino a Wells ne “ La
guerra dei mondi” del 1898 che è il prototipo delle storie di invasione aliena per
arrivare ai fumetti come Superman o Flash Gordon, eroe divisi tra natura umana
e aliena. Gli alieni, infatti, non sono solo invasori, ma secondo questa visione,
vivono presumibilmente tra noi e secondo molte teorie fin dall’antichità: vi sono
luoghi come l’Egitto e le sue Piramidi, l’isola di Pasqua o Nazca e le sue linee che
fanno pensare a un contatto presente da sempre forse quasi un contatto creatore
del genere umano che periodicamente permette degli “incontri ravvicinati del
terzo tipo” in stile Spielberg. Suggestivo di questo contatto è l’aria di mistero
che avvolge negli Stati Uniti la cosiddetta Area 51 che, secondo i cospirazionisti
custodirebbe i corpi degli alieni morti nello schianto di un’astronave vicino
Roswell, in New Mexico nel 1948, ma tale episodio è frutto solo di fantasia. In
realtà questa era un’area che il governo statunitense usava per testare durante
la guerra fredda le nuove tecnologie contro l’Unione
Sovietica. Anche l’arte ci offre testimonianze di
possibili contatti. Abbiamo addirittura una “Madonna
con Bambino e San Giovannino” che si trova a
Palazzo Vecchio a Firenze che è detta “Madonna
dell’UFO”. L’opera infatti mostra la presenza di un
oggetto aereo di color grigio piombo di forma ovale
e dotato di una torretta che appare in volo. Vi è
anche un pastore con il proprio cane che guarda verso l’oggetto volante
misterioso. Ancora più particolare è uno dei pannelli della Pala Colonna,
conservata al Museo di Capodimonte a Napoli, rappresentante il miracolo della
neve a Roma nel mese di agosto che porterà in quel luogo all’edificazione della
Basilica di Santa Maria Maggiore: alle spalle del soggetto principale dato da Papa
Liborio e dal popolo romano si staglia una flotta
di UFO di cui quello in primo piano trasporta il
Cristo e la Madonna che osservano la scena
dall’alto. Tutte queste evidenze però non hanno
una connotazione scientifica, ma denotano
l’inestricabile rapporto tra l’uomo e l’alieno, tra
il noto e l’ignoto. Se, però, guardassimo con
occhio attento il film ET, vedremmo che ET,
come il bambino Elliot, sono caratterizzati dalle stesse cose: il cuore che palpita
grazie ai sentimenti di chi ci ama, la necessità della comunicazione data anche
da un semplice telefono giocattolo e il bisogno della propria casa in qualunque
universo sia. Gli alieni non sono altro che la parte più sconosciuta di noi stessi
che proiettiamo fuori di noi. Questo stimolo, però, seppur irrazionale, guida la
ricerca e la scienza e ci permesso nei secoli di migliorare il cammino dell’uomo
e le sue conoscenze: l’uomo infatti diventa tale quando volge lo sguardo al cielo
stellato sopra di sé per vedere ciò che in dentro di sé, come ci ha fatto
comprendere il filosofo Kant che infatti non escludeva una vita nell’universo.