//Raperonzolo in povertà

Raperonzolo in povertà

di | 2018-10-08T19:26:33+02:00 8-10-2018 19:24|Alboscuole|3 Comments
Di Angela Staniscia classe 3 E –  Una mattina d’inverno, stranamente, mi svegliai molto presto. Forse erano le 4.30 o le 5.00. Mi recai in cucina perché nel letto non riuscivo più a stare, era diventato tutto ad un tratto scomodissimo. Il caminetto emanava ancora un po’ di calore e allora mi ci sedetti davanti. Stetti lì a pensare e a riflettere quando sentii il suono del camion dei rifiuti. Presi uno scialle e me lo misi sulle spalle, poi uscii sul balcone a vedere. Quel camion faceva un rumoraccio terribile e più di una mattina mi aveva fatto svegliare di soprassalto. Si era fermato nel piazzale interno del palazzo dove vivo e tre spazzini scesero e iniziarono a svuotare il bidone del vetro. Mi dovetti tappare le orecchie perché il rumore era insopportabile. Finita l’operazione i tre netturbini risalirono sul camion e se ne andarono. Rimasi fuori perché i primi raggi di sole dell’alba iniziavano a illuminare i tetti e i balconi e non faceva poi così freddo. Sulle piante del mio balcone si vedevano le goccioline di rugiada e tutto questo mi trasmetteva tranquillità. Gli uccellini alla vista della luce cominciavano a cinguettare felici ed anche io ero felice. Io ero felice ma qualcun altro no. Mentre mi affacciavo qua e là sul balcone notai che dietro i bidoni c’era qualcuno nascosto. Sembrava una ragazzina. All’inizio restai ferma ad osservare bene, “come può esserci una ragazza nascosta dietro i bidoni dei rifiuti?” pensai. Mi accorsi però che era una ragazza, una ragazza vera, quando uscì dal nascondiglio e iniziò a rovistare nel bidone dell’organico. Avrà avuto più o meno la mia età, aveva dei lunghi capelli biondi raccolti in una coda di cavallo un po’ arruffata e si vedeva che erano tutti sporchi e secchi. Era vestita con degli abiti semplici e anch’essi sporchi: una felpa che per il periodo invernale era troppo leggera, dei pantaloni vecchi bucati sulle ginocchia e delle sneakers uguali alle mie soltanto più malandate e bucate sulla punta e sui talloni. Sulle spalle portava un piccolo zainetto nero, anch’esso bucato sulla tasca bassa aperto e vuoto. La ragazza dai lunghi capelli stava frugando nella spazzatura. Decisi senza esitare di scendere. Indossai una felpa, mi misi le scarpe, mi legai i capelli e usci di corsa. Presi l’ascensore e in un attimo mi trovai nell’ingresso del condominio. Attraversai il piazzale e mi nascosi dietro ad una macchina. La ragazza non si accorse di nulla e continuò a frugare borbottando tante parole, che io da così vicino non comprendevo comunque. Notai invece che aveva dei bellissimi occhi azzurri come il cielo limpido di quella mattina. E rovistava, ammucchiava in cerca di qualcosa da mangiare e magari da riportare a casa dalla famiglia. Quello poteva essere il suo ultimo pasto della giornata come poteva essere il suo ultimo pasto della settimana. Poteva capitare che non mangiasse per giorni come poteva capitare che non mangiasse per mesi. Incominciai a piangere, a piangere a dirotto. Lei mi vide e scappò via di corsa. Io piansi ancora di più perché non ero riuscita a trovare niente. La rincorsi ma neanche arrivata al cancello del piazzale caddi e poi buio totale. Nero. Mi risvegliai di colpo. Ero sul divano davanti al caminetto. Guardai l’orologio che segnava le 5:45. Mi ero addormentata e avevo sognato la ragazza dai lunghi capelli. Era tutta immaginazione. Usci di corsa sul balcone e controllai da lontano che dietro i bidoni non ci fosse nessuno. Nel piazzale c’era solo qualche gatto e delle macchine parcheggiate. I bidoni erano in ordine e nessuno ci si nascondeva dietro. Tirai un sospiro di sollievo. “Ma sollievo per cosa?” pensai: “Se non stava capitando lì, adesso, quello che avevo sognato, stava capitando da qualche altra parte della città, in Italia, nel mondo.” Ragazze come quella “Raperonzolo” ne esistevano tantissime. Ragazze , ragazzi, bambini, adulti, anziani e anche ragazzi della mia età! Per i successivi venti minuti non feci altro che pensare a questo e a ritenermi fortunata per tutto quello che ho. Iniziai a scusarmi con me stessa per tutte quelle volte che qualcosa non mi andava bene. Intanto si fecero le 6:30 e i miei si alzarono. Quella mattina preparavano il cappuccino perché il thè, l’unica cosa che bevo al mattino, era terminato. A me il cappuccino non piaceva. Non lo volevo. Lo sentivo amaro. Mi rifiutai di berlo. Mi misi alla finestra e i miei occhi caddero sui bidoni. Ripensai a “Raperonzolo”. Ripensai a quello che aveva fatto e ai miei pianti. Mi sedetti a tavola e feci colazione con la mia famiglia. Poteva essere l’ultimo pasto con loro come poteva essere l’ennesimo. Pensai ancora una volta a quanto ero fortunata e feci un grande e smagliante sorriso.