LA CASA
Era notte fonda e il buio tappava gli occhi della signora Mcvee.
Erano ore che i pensieri le parevano più rumorosi del chiasso dei ragazzotti ubriachi, che urlavano e ridevano a squarciagola nella stradina di fronte casa sua. Non ce la faceva più, così decise di alzarsi e andare a prendere una di quelle pasticche viola alla melatonina, che su di lei avevano lo stesso effetto di una ninna nanna su un bimbo.
Si infilò le ciabatte e si avviò verso il bagno. La casa, buia e silenziosa, la faceva sentire osservata; i suoi passi le sembrarono improvvisamente più pesanti, come se qualcosa le stesse stringendo le ossa delle ginocchia, ma quel qualcosa non era la vecchiaia, era la paura. Aveva infatti dimenticato di accendere la luce, pensando di conoscere la casa, ma l’invadente coperta del buio la inghiottiva sempre più, facendola sentire come nuda in un’oscurità fatta di occhi indiscreti.
Finalmente, dopo un tempo che la paura rese inevitabilmente infinito, arrivò al bagno e accese la luce.
Presa la pastiglia, si addentrò (di malavoglia, ma stavolta accendendo la luce) nel corridoio dove camminava guardando avanti, come se avesse terrore di ciò che avrebbe potuto notare con la coda dell’occhio, fino ad arrivare ad una porta chiusa: la porta della camera della nipote.
Qualcosa la spinse ad avvicinarsi, come una specie di energia, l’energia di una vita a cui lei era tanto legata, la vita della nipote morta poco tempo prima per via di un incidente stradale.
Era un sabato sera, tutti dormivano e lei decise di farla finita. Prese le chiavi della vecchia Ford di seconda mano, che aveva ricevuto come regalo di compleanno per il suo diciottesimo e guidò fino al fiume, fino a dentro il fiume. Ci si immerse completamente. Aveva chiuso volontariamente a chiave le portiere della macchina in modo da non poter scappare. Il corpo fu ritrovato pochi giorni dopo la denuncia della sua scomparsa. Lascio alla vostra fantasia il compito di immaginare il più macabro dei cadaveri decomposti in acqua.
L’anziana signora Mcvee, che aveva avuto la tutela legale della nipote dopo la morte della figlia, ne rimase comprensibilmente sconvolta. Era sola ormai da anni e il suo unico appoggio era la ragazza, che ormai considerava quasi una figlia, e dopo la sua morte si lasciò inesorabilmente andare al deterioramento interiore.
Il silenzio dominava la casa e danzava insieme ai rumori delle tubature e degli elettrodomestici, fino a quando…
“Do you have the time” la canzone preferita della nipote fu riprodotta dalla radio ad altissimo volume… “To listen to me wine” …La vecchia fu assalita da quel mostro che erano i pensieri, i ricordi… “About nothing and everything“.
La radio si spense così come si spensero le luci e l’unica cosa che si accese fu un urlo, un urlo acuto, un urlo che raccontava gli espliciti dispiaceri di una vita e i segreti di una realtà infelice e di una morte attesa.
Il corpo della vecchia non è mai stato trovato. Il suo nome non risulta familiare, perché è stato inghiottito dal tempo, ma si dice che, dopo un paio di anni, la casa fu demolita e ogni singolo materiale fu venduto in ogni parte del mondo, fino all’ultimo granello di polvere di calce.
Io non so dire molto, ma di una cosa sono certo: quella casa era imbottita dal male e gli oggetti non dimenticano. Ogni singolo mattone di quella casa e ogni singolo pezzo di legno portava dietro di sé una maledizione. Il perché ancora oggi è un mistero, ma il mistero che più urge è il seguente: e se anche voi aveste in casa un pezzo di quella dimora?
Livia Bulatovic