Un buio mattino, in un vicolo popoloso della città, un uomo dall’aspetto inquietante mi urtò e poi scappò via.
Il giorno dopo, ero a casa, quasi all’alba suonò il campanello. Quel giorno non aspettavo nessuno e controllai dal videocitofono chi fosse. Sembrava un fattorino, anche se io non avevo ordinato niente. Allora parlai con lui attraverso il citofono: “Chi è?” dissi. “Sono il fattorino di Amazon, ho una consegna; per favore, aprimi così ti posso dare il pacco di persona”. Visto che non avevo ordinato niente, nonostante quella richiesta mi sembrasse un po’ insistente, pensai d’altra parte che poteva anche trattarsi di un regalo e quindi decisi di aprirgli.
Quando me lo ritrovai davanti alla porta ebbi uno scossone e provai un misto tra curiosità e inquietudine. Aveva tanti graffi sulle mani e una cicatrice che attraversava l’occhio sinistro prolungandosi fino a raggiungere il naso. Era vestito di un colore scuro, tra il bordò e il nero, aveva in testa un cappello con lo stemma di Amazon e tra le mani portava il pacco. Era un uomo possente, grande e muscoloso, alto almeno il doppio di me e d’ istinto mi parve strano che facesse il fattorino.
“Che pacco è?” dissi incuriosito. “Non posso saperlo, aprilo e lo vedrai”. Aveva una voce cupa e profonda che faceva abbastanza terrore. Quella sensazione di timore e di disagio mi tolse la lucidità e, senza aspettare che lui se ne andasse, un po’ per curiosità, un po’ preso dalla fretta che quella situazione terminasse al più presto, iniziai a scartare il pacco.
C’erano lacci e scotch dappertutto. Serviva un coltello o delle forbici, avrei dovuto allontanarmi dalla porta, ma non potevo lasciare quell’uomo libero di infiltrarsi in casa, né riuscivo a sbattergli la porta contro, perché la sua persona mi sovrastava ed era sulla soglia interna.
Mi sentivo braccato e quasi immobilizzato. Ci guardammo e mi disse: “Ti do una mano”. Infilò la mano nella tasca ed estrasse una pistola, la puntò sulla mia fronte e smascherandosi completamente soggiunse: “Dammi un rifugio o non ti sveglierai mai più”. Preso dal panico, annuii senza dire una parola. In mente si accavallarono pensieri e recriminazioni: non avrei dovuto farlo entrare, il mio intuito aveva visto giusto, quello sguardo era lo stesso che il giorno prima mi aveva fulminato dopo quell’urto accidentale, evidentemente nemmeno accidentale.
Prese possesso della mia casa.
Mi costrinse a cedergli il mio letto ed io fui costretto a dormire sul divano col timore che potesse succedere qualsiasi cosa da un momento all’altro. Passarono due o tre giorni, dopo di che, verso l’alba, lui se ne andò. Lo avevo sentito andarsene, ma avevo preferito far finta di non accorgermene.
Mi sentii libero di accendere la televisione e guardare il telegiornale, che non vedevo ormai da una settimana. Ed ecco che udii la notizia: “Ricercato uomo pericoloso, omicida, alto, riconoscibile per una cicatrice su metà volto, che attraversa l’occhio sinistro e un po’ il naso…”. Rimasi scioccato. Non finii di ascoltare e mi infilai le scarpe, presi il giubbotto e corsi verso l’ingresso per andare a riferire tutto alla Polizia. Ero vicino alla porta, stavo per uscire quando sentii dei passi alle mie spalle che si avvicinavano sempre più a me.
Capii che lui non se ne era mai andato. Era troppo tardi, non avevo scampo. Mi guardai alle spalle e vidi che mi puntava contro la sua pistola, le ultime parole che sentii furono “Nessuno deve saperlo”.
Maria Sofia Cicero