//Horror – La prima notte

Horror – La prima notte

di | 2024-06-16T11:56:19+02:00 16-6-2024 11:56|Alboscuole|0 Commenti

Giorno 1, lunedì 15/11/1989

É il mio primo giorno qui come guardia notturna all’ormai famoso Freddy Fazbear’s Pizza. Tutti ne hanno sentito parlare, tutti sono affascinati dagli animatronici, ideati dal pazzo William Afton, creati per intrattenere i bambini, oppure per uccid… No, meglio non evocare le brutte memorie del famoso incidente che accadde due anni fa precisi, il 15 Novembre 1987. Da quel giorno hanno abilitato il free-roaming agli animatronici solo di notte, il che ovviamente non mi rassicura molto. Eravamo solo io, il tablet per controllare le telecamere e il ticchettio dell’orologio che mi stava facendo perdere la ragione. Silenzio. Ticchettio. Di nuovo silenzio. Un ritmo perpetuo e fastidioso, ma non posso lasciarmi battere da uno stupido orologio. Oh, è l’una. È già passata un’ora. Sono ancora tutti ai loro posti. Chissà cosa succederebbe se andassi a vederli un pochino più da vicino, magari uscendo da questo ufficio lercio e puzzolente… Dovrei resistere, ma la mia curiosità ha sempre la meglio. E così eccomi, a sgusciare nelle tubazioni d’aria per arrivare nelle altre stanze (dato che non trovo più le chiavi). Arrivo in un corridoio. La puzza di formaggio, che cerca di nascondere una puzza ben più ripugnante, riempie le mie narici; ci sono tanti poster… tanti tavoli… tanti striscioni di buon compleanno. Mentre mi addentro nelle varie stanze che paiono una specie di labirinto, arrivo al palco principale. Un animatronico non c’è. Il coniglio blu, Bonnie o come si chiama. Comincio a sudare. Il suono delle gocce di sudore che cadono in una pozza d’acqua proprio sotto di me rimbomba nella stanza vuota. Che strano vedere un posto di solito pieno di gioia e bambini totalmente vuoto. Mi giro, aspettandomi che ci sia qualcosa pronto a divorarmi le budella, ma non vedo nulla. Lentamente alzo la mano per usare la torcia, ma quando provo ad accenderla mi accorgo che non ha pile. Non sono scariche. Sono state del tutto rimosse, nonostante le avessi inserite momenti prima. Abbasso lo sguardo e balzo all’indietro, quasi scivolando sulla pozza d’acqua di prima: vedo un animatronico dall’anatomia di un bambino tozzo e bassino. La sua rigida plastica risplende alla poca luce della luna che entra dalle finestre. Lui, quel lurido bambino, mi ha rubato le pile  e se la sghignazza. Cerco di riprenderle. E caspita se la sua presa è forte! Alla fine riesco a mandarlo via, dopo aver ripreso le pile. Nel frattempo continuo la mia esplorazione, anche se ora un dubbio mi offusca la mente: dopo il mio primo incontro con un animatronico, mi pare di aver scordato qualcosa, non so cosa però. Dopo aver pensato a lungo, arrivo all’angolo dei premi e allora ricordo. Divento pallido. Il mio capo mi aveva detto: “Ricorda che nell’angolo dei premi c’è un tasto che serve a caricare un carillon. Deve essere COSTANTEMENTE ricaricato, altrimenti ne uscirà il tuo peggiore incubo”. Lentamente apro la porta. E te pareva. Il carillon è aperto, e non ha nulla all’interno. Mi sento morire dentro. Continuo a ripetermi: “É tutto un sogno, è tutto un sogno, è tutto un sogno, è tutto un sogno…”. Ma non credo più che sia un sogno, quando sento una viscida mano nera e sovrumana sulla spalla. Mi giro con uno scatto e vedo un animatronico molto diverso dagli altri: la sua “pelle” non è di plastica o acciaio, ma sembra composta da una materia organica; la forma del corpo è ESTREMAMENTE magra e alta, le articolazioni molli e prive di piedi o mani umane, rimpiazzate da semplici punte incomplete per i piedi e mani di sole tre dita lunghissime. Il corpo nero è ornato da qualche fascia bianca sulle gambe e bottoni sul petto. La faccia è coperta da una maschera bianca, come quelle da teatro, solo che questa è un mix tra quella felice e quella triste: da una parte l’espressione è contenta, ma dall’altra delle lacrime scendono per tutta la superficie sotto gli occhi. Mi bisbiglia qualcosa: “Li sto salvando”. Rimango perplesso a causa del suo sussurro rassicurante e lo squadro con gli occhi. Mi lascia la spalla e va via, fluttuando leggiadro per la camera. Si gira un’ultima volta. “Grazie per avermi liberato” dice, ridacchiando e andando nelle altre stanze. Mi chiedo cosa intendeva… Chi sta salvando? Perché era gentile nei miei confronti? Ma soprattutto, chi era? Spero che queste domande prima o poi trovino una risposta. Antonio Dragone