È un venerdì sera qualunque, un venerdì sera della primavera del 1978, un venerdì sera che non rimarrà un venerdì sera qualunque. Cala il buio, e al crepuscolo le strade sono vuote, buie e silenziose; molte famiglie sono nella propria casa, mentre si godono i momenti di riposo con i propri figli o i propri genitori. In questo silenzio una voce da una radio libera, al microfono è radio Aut; dietro questa voce c’è un ragazzo di trent’anni, forse poco conosciuto, ma che da li a poco diverrà uno dei maggiori esponenti dell’antimafia e uno dei maggiori esempi in Italia di onestà e di giustizia. È un giovane ragazzo con lo sguardo combattivo e con gli occhi che brillano di luce, di volontà, di coraggio e di forza. È minuto Peppino, è gracile il suo corpo. Spalle strette, ciuffo spettinato e una voce quasi grossa, anzi graffiante, graffi che penetrano sulla pelle della sua famiglia e della mafia, graffi che penetrano con una velata e consapevole ironia. Peppino Impastato, ecco il volto del microfono di radio Aut, il siciliano che colpì con l’arma dell’onesta ‘’gli uomini d’onore’’ che lavorano per l’organizzazione della mafia, una grande macchina corrotta che sviluppa il male in modo organizzato e studiato nei minimi dettagli. Giuseppe Impastato, chiamato Peppino, figlio di ‘’un uomo d’onore’’, uomo che lavora per Cosa Nostra. Legame quello della sua famiglia con la mafia, che Peppino rifiuta con fatti, azioni concrete e parole graffianti. Fu un giornalista e un attivista, mestieri nei quali le parole hanno grande rilevanza, per questo sceglieva le parole con grande cura; fu un uomo giusto, membro attivo della Democrazia proletaria, conosciuto prevalentemente per la battaglia contro la sua famiglia, contro Cosa Nostra. Il suo attivismo, le sue azioni sociali e politiche furono la motivazione per le quali venne assassinato il 9 maggio 1978 a Cinisi; venne ucciso proprio perché le sue parole riuscirono squarciare in mille brandelli il tabù dell’omertà. Denunciò la mancanza di coraggio che si trasformava, e si trasforma, in omertà e in passività. Le parole Lui, le sceglieva con cura, perché dovevano difendere la legalità, una battaglia ostinata come il suo sguardo, una battaglia sociale e una battaglia politica verso un mondo trasparente e governato da Leggi Giuste. La vita di Peppino impastato, spezzata nella sua giovane età, è di grande esempio e di grande ispirazione per tutti noi e per tutte quelle generazioni cresciute nell’omertà e nel silenzio. La presa di conoscenza della vita di Peppino Impastato è un modo per poter sviluppare il senso critico, che spesso viene a mancare, di conseguenza verrà a mancare il senso etico e la coscienza. La mancanza di senso di moralità, rispetto alle situazioni che abbiamo davanti agli occhi, e che spesso non riconosciamo, proprio perché è più facile essere superficiali e disinteressati; banali, secondo Hannah Arendt, come il male che muove le azioni di chi agisce con deresponsabilizzazione, perché “a me non tocca”. Per Arendt il male nasce dalla banalità e la banalità stessa è il male: come Eichmann che nella sua vita familiare fu semplice e banale, diventava origine del male e capace di una qualsiasi atrocità, nel momento in cui si trovò al centro di una macchina del terrore organizzata come quella Nazista, e in questo caso una macchina organizzata come quella della mafia, macchine di violenza e terrore. Così, mossi dalla stessa logica, i “picciotti” di Cosa Nostra compivano gli omicidi di mafia, senza sentire il peso della responsabilità, in quanto esecutori materiali di un ordine, calato dai vertici delle cosche di cui loro non discutevano la bontà o la crudeltà. Una sorta di ragion di stato alla rovescia, dove qualcuno doveva pagare per aver cercato di sovvertire l’odine costituito dell’organizzazione mafiosa. Peppino, vittima designata e messaggio di sangue, nei confronti di chi, come lui, voleva abbattere il muro del silenzio. Monito del terrore nel quale la mafia incatena le coscienze. Peppino Impastato fu circondato dal male e da questa banalità, che così banale forse non era. Fu così forte e determinato da non piegarsi mai al volere e alla violenza dei bruti che pretendevano di insegnargli a vivere e ad agire, trattato come una bestia e vittima di un tentativo di manipolazione mai riuscita. Peppino Impastato era ed è un esempio di onestà e di coraggio in un mondo e in un’Italia corrotta. Un’ Italia che ancora oggi rappresenta uno Stato in coma, silenzioso e omertoso. Ci fa comprendere che la libertà non dev’essere soppressa, quella preziosa libertà per la quale è morto, esempio di libertà per quanto lui, per averla difesa, sia stato ucciso e ridotto in brandelli; brandelli di pelle e ossa, sparsi per 300 metri dal binario in cui fu ricoperto di tritolo e fatto sparire nel nulla, cadavere utilizzato per inscenare il suo suicidio, per poter distruggere la sua immagine. Provarono a eliminare Peppino Impastato, provarono a eliminare la sua immagine, ma Peppino rimarrà per sempre vivo, le sue idee rimarranno per sempre e il suo coraggio permarrà nelle nostre anime e nelle nostre coscienze. «Immaginavo che me lo ammazzavano. E glielo dicevo, Peppino, tu non lo puoi fare. Tu lo sai a che famiglia appartieni. Ma lui non sopportava l’ingiustizia». Affermava la madre che, con paura, sapeva a che cosa andava incontro suo figlio. Ma non obbedì, non chinò la testa, non si fece mai ammaestrare dal silenzio e dall’indifferenza. Come affermava Don Milani ‘’l’obbedienza non è più una virtù’’, anche Peppino non obbedì mai alla sua famiglia, non si omologò al radicato sistema mafioso e corrotto pregno di sangue di innocenti. Lo spettacolo tenutosi a scuola l’8 maggio 2024, è stato un vero e proprio insegnamento, un grande omaggio alla vita di Peppino Impastato. Tanti concetti e tante realtà e osservazioni apprese grazie all’ironia e alla riflessione, riflessione avvenuta riguardo all’importanza del senso civico e del dovere, dell’importanza del coraggio e dell’importanza di affrontare la paura, in quanto giusto e doveroso, nel momento in cui l’azione venga destinata alle battaglie per la giustizia, l’onestà e la libertà. Peppino, come la madre, era consapevole dei rischi che scaturivano dalle sue azioni e dalle sue parole, ma coraggiosamente non si fermò, ignorò impavido la paura, e continuò ad affermare quanto ‘’la mafia fosse una montagna di merda’’. Peppino morì ammazzato. Il caso di Peppino impastato è un vero e proprio caso di omicidio. Una vera e propria ingiustizia. I compagni e amici di Peppino Impastato, poco tempo dopo l’omicidio, raccolsero i resti del suo corpo. Vennero ritrovate pietre pregne di sangue, prove importanti e di grande rilevanza per le indagini stesse, ma dal tribunale risposero che quelli erano i segni dei rapporti consumati dalle coppiette, una macchia di ciclo mestruale. Amici e parenti non si arresero mai; e fu così che il 16 maggio, 7 giorni dopo l’omicidio, la madre di Peppino inviò un esposto alla procura, indicando come mandante dell’omicidio del figlio Tano Badalamenti, il capo cosca. Grazie al fratello di Peppino, Giovanni, a sua madre, e allo scioglimento dei legami con la famiglia stessa, si riuscì a trovare la matrice mafiosa del delitto. Quando il caso venne archiviato, sempre con false promesse in fase di depistaggio, il fratello e la madre di Peppino, attraverso un esposto, chiesero di indagare sugli episodi mai chiariti, sul palese depistaggio e sull’atteggiamento dei carabinieri il giorno stesso del delitto. Siamo nel 1997 quando Badalamenti viene catturato e accusato di essere il mandante dell’omicidio, così come dichiarò la famiglia. La casa del mandante venne confiscata e data all’associazione Casa Memoria ‘’Felicia e Peppino Impastato’’. Non volle consensi, desiderava che uomini e donne, giovani e vecchi iniziassero davvero ad aprire gli occhi e a riflettere su come la mafia uccida la legalità, condannando tutti a chinare la testa. La non violenza e il coraggio sono ancora oggi atteggiamenti, un modus vivendi difficili da digerire per molti, in una nazione che ancora fatica a schierarsi dalla parte degli onesti e dei giusti, in uno stato che ancora utilizza i mezzi di comunicazione in maniera non sempre pluralista e garante della libertà di opinione. Peppino no, si ostinava a comunicare attraverso le radio l’importanza del coraggio, del pensiero critico e della riflessione. Ricordiamolo e ricordiamoci. La mafia ancora agisce e ancora cerca di imbavagliare giovani e non, volenterosi di creare fondamenti per l’onestà; ma non possiamo permetterlo, perché come diceva Giuseppe Impastato, la mafia è una montagna di merda.