Del maestro Giuliano Porfili, plesso XXI Aprile
Cari lettori e lettrici eccoci!
Vorrei oggi parlarvi di un’esperienza che porto avanti nella mia classe, una terza primaria.
Si tratta del tentativo di avviare nell’iper mondo super connesso di oggi, dove l’induzione delle informazioni è diretta e consequenziale così povera di creatività, un modo personale e immediato di imprimere nella scrittura quello che i bambini osservano intorno, oppure un ricordo. Oggi la curiosità alberga spesso nelle immagini o nei pochi testi che si ricevono in maniera sempre più “oppressiva”, non lasciando spazio all’imprinting, proprio non veicolando l’ascolto delle emozioni, ingabbiate nel dover essere, incanalate nella foce dell’omologazione digitale.
Per questo è importante far riscoprire all’interno delle percezioni sensoriali dei bambini un sano desiderio di raccontare, esprimersi e far conoscere la propria idea. Perché la scrittura? Perché è un mezzo potente di espressione, dove in maniera quasi nascosta si descrivono, anche solo semplicemente, le immagini intorno a noi senza timore degli occhi “addosso”.
Per far sì che questo accada, è necessario creare un ambiente intorno educato all’ascolto, far suscitare nell’immaginazione visiva dei bambini la voglia di partecipare a questo “viaggio” creativo. Per veicolare al meglio le informazioni che affollano la mente così libera dei bambini (io la paragono ad un hardisk nuovo, rispetto alle nostre memorie così bisognose alcune volte di una bella formattazione di cose inutili) possono usare la sfera delle emozioni. Si tratta di un cubo dove sono stampate visivamente gli stati d’animo più frequenti: rabbia, tristezza, gioia, paura, stupore, felicità.
I bambini lo possono osservare per ritrovare un ricordo passato, oppure attualizzare un evento lontano nel tempo alle vicende del presente. Si attiva nei loro pensieri un moto emozionale di ricordi dove le mani fremono per imprimerli nelle pagine bianche di fogli di brutta. Per destare in loro ancor più curiosità e voglia di condividere, s’immaginano di essere delle scrittrici e degli scrittori, faccio firmare i testi con i propri nomi e cognomi in maniera libera e creativa nella scelta del “font”.
Li coinvolgo nella lettura del proprio scritto (chi lo vuole fare in maniera libera) inscenando la presentazione di un libro e chiamando lo scrittore e la scrittrice a leggere le personali parole. Credetemi, si apre un mondo diretto e gioioso, dove il timone dei ricordi è guidato dalla bellezza così avvolgente dei loro scritti.
Cosa porta tutto questo?
Desiderio, condivisione spontanea, gioia di far conoscere i personali pensieri e anche le criticità espressive che trovano così la forza inconsapevole di venire in superficie, dando a noi l’occasione unica per accogliere quel momento oppositivo e “riparare” la fiducia e l’ascolto nel nuovo testo, anche se di poche righe.
Vi saluto con quello che penso delle “parole” quando arrivano a noi e rimangono come sospese:
Le parole sono come ragnatele: infinite, attaccate tra loro.Le bocche, ragni che tessono. Non hanno direzione, scuotono il tempo spettatore.
Per conto del pensiero padrone, le parole sono affamate come un pesce la mattina presto: hanno bisogno di sentirsi importanti. Miliardi di parole colorano un cielo che quasi non ha più aria per ospitarle. L’ossigeno è tutto in quel respiro che parla. Cosa saresti senza parole? Quale forma avrebbe il viso senza la convinzione di quella frase appena detta? Eppure… Quando ogni sillaba si dirige verso l’altro e sta per prendere corpo in un discorso, il silenzio soppianta tutto come una metropoli senza luce. Senza silenzio, le parole durerebbero il tempo di una freccia verso il bersaglio.