Qualche mese fa, quando come redazione abbiamo partecipato alla marcia straordinaria per la pace Perugia Assisi chiedendo a gran voce il cessate il fuoco in Ucraina e in tutti i paesi coinvolti in conflitti, non avremmo mai immaginato che quella partecipazione potesse essere un gesto rivoluzionario. Cosa c’è di più mite che marciare per la pace?
Oggi questo non sembra più così scontato. Più o meno come dedicare simbolicamente un fiore alla memoria di un oppositore politico morto di coraggio in un regime lontano. Le manifestazioni per il cessate il fuoco in Palestina spesso, non solo in Israele dove addirittura vengono accusate di fomentare l’odio, ma anche in Europa e nel nostro Paese, vengono viste con una certa diffidenza quando non con sospetto.
******All’alba di sabato 7 ottobre, con un’operazione senza precedenti, preparata presumibilmente da mesi, Hamas ha attaccato tre dei sei punti di attraversamento lungo la barriera che separa Israele da Gaza, mettendo fuori uso le strumentazioni (rilevatori di movimento, telecamere, cannoni controllati a distanza) del sistema di sicurezza israeliano, considerato uno dei più efficienti al mondo. E’ quindi entrato in territorio israeliano iniziando l’azione via terra. A Kerem Shalom, a Erez, una cinquantina di Km più a nord, a Sufa i miliziani hanno attraversato il confine uccidendo soldati israeliani, colti di sorpresa e probabilmente in numero ridotto a causa della festività. A Be’eri hanno attaccato un rave party, compiendo una strage di giovani. I miliziani, su pickup, moto o persino a piedi, hanno sparato su chiunque si trovasse sulla loro strada, militari e civili, uomini, donne, anziani e bambini. A conti fatti, il bilancio dell’azione terroristica sarà drammatico: 27 obiettivi colpiti tra cui due basi militari e alcuni kibbutz, città e insediamenti fino ad Okafim, a 25 km. da Gaza, irruzioni nelle case, innumerevoli uccisioni e sequestri di militari e di civili disarmati. Molti esibiti come trofei in un ripugnante carosello che ha oscurato il sole ed eclissato la ragione. 1200 le vittime, circa 250 persone prese in ostaggio, tra 100 e 200 i dispersi. Saranno numerose le testimonianze dei superstiti che hanno riferito di stupri e violenze di ogni genere. Chi avrà avuto modo di vedere le foto dell’accaduto le descriverà raccapriccianti, chi le pubblicherà non ne raccomanderà la visione. Fatto sta che circoleranno poco.
La risposta di Israele
Il governo israeliano, guidato da Benjamin Netanyahu e composto in parte da ministri appartenenti alla estrema destra, ha reagito in modo estremamente violento, seguendo uno schema consueto applicato con inusitata ferocia: azioni di punizione collettiva nella striscia di Gaza giustificate dinanzi alla comunità internazionale come una necessaria espressione del diritto a difendersi dello Stato israeliano. La tesi rimbalza di talk-show in talk-show nel nostro Paese dove capita spesso che ogni tentativo di comprendere quanto accaduto e di valutare la portata e la legittimità della reazione israeliana venga liquidato sbrigativamente se non respinto come attacco a una moderna democrazia minacciata nel suo diritto ad esistere. Il fatto è che nonostante sia vietato l’accesso alla stampa internazionale, nonostante gli operatori umanitari siano messi in condizione di lasciare la Striscia se non altro per la difficoltà di essere operativi, nonostante i numerosi blacKout e interruzioni delle connessioni, mai come questa volta i riflettori si sono accesi sui territori palestinesi, uno spazio pensato per uno stato indipendente che è diventato, come scrive Amira Hass, unica giornalista israeliana corrispondente dai territori occupati in The Passenger Palestina, ”spazio israeliano punteggiato da <sacche> di territori, enclave palestinesi sovraffollate e compresse, scollegate o facili da scollegare l’una dall’altra in qualunque momento, dotate di autonomia assai limitata. Esse sono circondate da blocchi di insediamenti per soli ebrei collegati tra loro e con Israele da una rete di nuove strade.”
A cosa il mondo sta assistendo
Ordini di evacuazione da “un luogo che pensavi sicuro ad un altro che speravi lo fosse”* Bombardamenti massicci e ininterrotti, migliaia e migliaia di bombe. Già il 20 Ottobre a neanche due settimane dall’inizio delle ostilità Amnesty International indagando sui bombardamenti condotti nella prima settimana denunciava violazioni del diritto internazionale “ Nel dichiarato intento di distruggere Hamas, Israele ha mostrato uno scioccante disprezzo per le vite dei civili.
Hanno polverizzato palazzi residenziali…compiendo massicce uccisioni di civili e distruggendo infrastrutture fondamentali proprio mentre i loro nuovi provvedimenti stavano rapidamente portando all’esaurirsi di acqua, cibo, carburante ed elettricità.”
Nello stesso rapporto Amnesty denunciava i crimini commessi da Hamas il 7 ottobre chiedendo la liberazione immediata di tutti gli ostaggi.
Guterres, segretario generale dell’ONU ribadiva negli stessi giorni la necessità di un cessate il fuoco, e l’11 Dicembre parlando al forum di Doha, in Quatar, metteva in guardia dal collasso del sistema umanitario a Gaza dove la situazione “ si sta rapidamente trasformando in una catastrofe con implicazioni potenzialmente irreversibili”.
Un mese dopo il Sudafrica presentava alla Corte Internazionale di giustizia dell’Aja l’accusa di genocidio per Israele. In attesa di una risposta che sarebbe arrivata a distanza di un paio di settimane, continuava intanto la demolizione della Striscia e i Ministri del governo Nettanyahu si scatenavano chi come Amihai Eliyahu ministro del patrimono culturale, affermando che andrebbe sganciata una bomba nucleare su Gaza, chi come Haim Kotz, ministro del turismo e Miki Zohan ministro dello sport entrambi dello stesso partito di Nettanyahu, il liKud, affermando che solo la colonizzazione di Gaza potrà evitare altri attacchi come quelli del 7 ottobre. Con una decisione storica la Corte dell’Aja risponde alle richieste del team legale e politico sudafricano definendo plausibile l’accusa di genocidio e dando a Israele un termine di trenta giorni per dimostrare di aver adottato le misure necessarie per evitarlo. D’altronde non era più possibile nascondere “ i 25.000 morti,( diventati poi più di 30000) in gran parte civili, le migliaia di bambini uccisi, le migliaia di feriti e mutilati, il 70% delle abitazioni rase al suolo, il sistema umanitario della striscia fatto a pezzi, , un milione e 700.000 persone in fuga sotto le bombe e ridotte alla fame, il personale sanitario e i giornalisti nelle fosse comuni.” **
Il dovere di indignarsi
Ciò nonostante in molti ritengono giustificata l’azione di Israele e a chi si sofferma sulla sua eccessiva violenza ricordano la violenza di Hamas. Si chiede di considerare il prima e il prima è un attacco inaccettabile, di disgustosa violenza.
Tuttavia un tale ragionamento imporrebbe per lo stesso ordine di ragioni di indagare su ciò che ha preceduto il 7 ottobre. Lo stesso Guterres in uno dei suoi interventi che hanno suscitato l’ira di Netanyauh ha affermato : “ E’ importante riconoscere anche che gli attacchi di Hamas non sono arrivati dal nulla. Il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione”- aggiungendo peraltro in un suo discorso al palazzo di vetro- ” le sofferenze del popolo palestinese non possono giustificare gli attacchi di Hamas. E quegli attacchi spaventosi non possono giustificare la punizione collettiva del popolo palestinese.”
Inoltre se la comunità internazionale riconosce Israele come stato democratico tra i più avanzati del mondo non può non pretendere dal suo governo un uso legittimo e proporzionato della forza. Una democrazia forte e matura ha gli strumenti giuridici per rispondere a eventuali attacchi reprimendo i reati, senza violare i diritti umani di chi nulla ha a che fare con gli stessi
Il diritto a difendersi di qualsiasi stato, Israele compreso non può mai comportare il diritto di uccidere, men che mai il diritto di uccidere un solo bambino. D’altronde nulla giustifica l’uccisione di un solo bambino, neppure l’uccisione premeditata di un altro bambino . Nulla e nessuno potrà mai giustificare l’uccisione di un solo bambino israeliano da parte di Hamas , un gruppo che non esitiamo a definire terroristico proprio a causa delle sue azioni criminali nei confronti di civili inermi. Nulla e nessuno potrà mai giustificare l’uccisione di un solo bambino palestinese da parte di Israele. Il governo che lo faccia non può che dimettersi. I cittadini israeliani non possono far altro che chiederne le dimissioni. Alcuni lo stanno già facendo, in alcuni casi manifestando insieme ai palestinesi.
Infine, attribuire la distruzione di Gaza e l’uccisione di migliaia di civili palestinesi ad Hamas che li utilizzebbe come scudi umani non regge. Cos’è uno scudo umano ?
“Dal punto di vista legale il concetto di scudo umano fa riferimento all’uso di civili come armi di difesa in modo da rendere i combattenti o i siti militari immuni agli attacchi. L’idea è che i civili, che sono protetti dal diritto internazionale, non debbano essere utilizzati per ottenere un vantaggio militare.”
Insomma, l’utilizzo di civili dovrebbe dissuadere dall’uso della forza. Ma se nonostante la presenza di civili la forza viene utilizzata lo stesso il civile non è servito come scudo, i siti che avrebbe dovuto proteggere sono stati attaccati e il civile è morto.
A più di un mese e mezzo dalla storica decisione della Corte Internazionale, a pochi giorni dallo inizio del Ramadan che molti osservatori avevano indicato come termine ultimo per la cessazione o almeno la sospensione delle ostilità, appare doveroso da parte dell’opinione pubblica internazionale chiedere ancora e con più forza un cessate il fuoco immediato e permanente e la liberazione di tutti gli ostaggi. Ce lo impone la coscienza civica e morale. Ce lo impone il ricordo dei bambini prematuri che non ce l’hanno fatta perché le culle termiche senza elettricità non hanno più potuto riscaldarli, di quelli morti per fame o per mancanza di latte e medicine, intrappolati sotto le macerie, di quelli uccisi o rapiti in un normale sabato senza scuola.
Ce lo impone il dolore dei bambini amputati senza anestesia e quello dei medici che hanno dovuto amputarli per tentare di salvare loro la vita. Ce lo impone l’inutile coraggio della piccola Hind Rajab, la bimba di 6 anni scomparsa e ritrovata dopo 12 giorni assieme agli zii e ai cuginetti sull’auto dove viaggiava per raggiungere l’ospedale Al Ahli di Gaza city- Dopo l’attacco di un mezzo corazzato israeliano Hind, unica sopravvissuta, aveva parlato a lungo con la sua mamma e con una operatrice del coll center della mezza luna rossa. L’avevano incoraggiata a lungo in attesa dell’autombulanza . E lei aveva fatto in tempo a vederne le luci rosse quando la sua voce si è fermata. Anche i due operatori sanitari che si erano offerti di raggiungerla a rischio della loro vita sono caduti, sotto raffiche di mitragliatrice.
Ce lo impone la pietà, se ne siamo ancora capaci, dinanzi a una folla affamata in attesa di accaparrarsi il cibo lanciato dal cielo che l’ipocrisia della comunità internazionale non è più in grado di far arrivare via terra imponendo corridoi sicuri. Alcuni, i più deboli si rassegneranno sapendo che non riusciranno a prendere nulla. Altri cercheranno di schivare le pallottole di un indegno tiro al bersaglio da parte di chi si giustificherà poi con la scusa di doversi difendere da una folla inferocita e quindi pericolosa. Potrebbe persino aver ragione, non c’è nulla di più pericoloso di una folla affamata e umiliata.
Note
*Così il cooperante italiano Jacopo Intini di Ciss organizzazione umanitaria siciliana
** Tommaso Di Francesco. Il Manifesto
*** Disegno di Hassan Manasrah per la mostra Falastin Hurra