//Recensione dello spettacolo teatrale “Il Vajont per tutti”

Recensione dello spettacolo teatrale “Il Vajont per tutti”

di | 2023-12-04T22:20:43+01:00 4-12-2023 22:20|Alboscuole|0 Commenti
a cura degli alunni della classe III/E e della Prof.ssa Rossana Parini – Scuola Secondaria di I grado – “Il Vajont per tutti”: sessanta anni fa la tragedia che commosse l’Italia Ieri mattina, 15 Novembre, le classi 3^ della scuola media “Galeazzo Alessi” hanno partecipato allo spettacolo teatrale incentrato sulla catastrofe del Vajont, presso il teatro Lyrick. A scuola ci eravamo già informati sul tristissimo fatto di cronaca, ma, vederne ricostruita la genesi nei particolari, con l’ausilio di personaggi-attori ed immagini eloquenti, ci ha restituito tutto il dramma vissuto dagli abitanti della grande valle, il vallone o Vajont. Ad aprire lo spettacolo, una scena con tre amici all’interno di una baita, che raccontano la loro infanzia; ad un tratto si spengono le luci e fa il suo ingresso il narratore che inizia a raccontare la Storia, da sessanta anni simbolo di un disastro nazionale. Negli anni ’30 del Novecento, anni difficili dopo la fine della Grande Guerra, in cui l’Italia era stata fortemente danneggiata, la nazione aveva bisogno di energia, ma le risorse fossili erano molto scarse, quindi si puntò su quelle idroelettriche. La ricerca e la produzione di energia veniva condotta allora da agenzie private: la SADE (Società Adriatica dell’Elettricità) era quella che operava nel nord-est d’Italia. L’ingegner Carlo Semenza pensò di progettare una enorme diga, in una valle tra il Friuli Venezia Giulia e il Veneto, dove scorre il torrente Vajont. La costruzione doveva essere alta un centinaio di metri, ma poi Semenza pensò che farla alta 200 metri sarebbe stato meglio; poi cambiò ancora idea, decidendo di tirare la corda al limite e realizzare una diga alta ben 262 metri. Sarebbe stata la diga a doppio arco più grande al mondo! Dal punto di vista architettonico, sarebbe stata un gioiello dell’ingegneria, ma il problema sorse dal punto di vista geologico, perché tale diga sarebbe stata posizionata tra due versanti montani, tra cui il monte Toc (che nel dialetto del posto significa “pezzo”, per ironia della sorte, il pezzo di monte che poi franerà), che era già stato interessato da infiltrazioni e frane perché presentava nella sua stratificazione uno strato argilloso e scivoloso pericolosissimo, poco stabile, facile alla caduta. Questa giusta ricognizione era stata fatta dal geologo tedesco Muller e da Edoardo Semenza, figlio del più noto Carlo. Quest’ultimo, però, non ascoltò il loro veritiero parere e continuò nell’ideazione della faraonica costruzione. Negli anni ’40, una nuova Guerra Mondiale funestò i popoli ed ulteriori problemi si assommarono anche in Italia a quelli già esistenti. Semenza, nel 1943, indisse una riunione a Roma alla presenza di soli dodici ministri che, anche se in minoranza, approvarono il progetto della diga, chiudendo colpevolmente un occhio verso i numerosi pericoli incombenti. Dopo la Guerra, Semenza diede inizio ai lavori della maxi diga e subito si verificarono alcune frane, alle quali non venne data la giusta importanza. Iniziò immediatamente dopo il suo riempimento, in modo da poterla testare in fretta, farne il collaudo e venderla alla società dell’Enel, che se ne stava interessando. L’invaso fu riempito con ben 715 milioni di litri d’acqua ma, siccome la roccia intorno non era granitica, si verificarono varie scosse, tra cui una che creò una spaccatura di tre metri sul monte Toc, cioè l’inizio della frana. Seguirono altri 52 terremoti in quattro mesi; anche Semenza, a questo punto, si iniziò a preoccupare, ma era ormai troppo tardi. La giovane giornalista Tina Merlin, della zona, aveva capito tutto e si era preoccupata, tramite passaparola ed articoli sui giornali, di avvertire ed allertare la popolazione locale. Semenza invece, credendo di poter governare la Natura, era rimasto pressochè insensibile ai suoi tanti accorati messaggi. La sera del 9 Ottobre 1963, il monte Toc franò finendo nel lago artificiale sottostante e creando un’onda alta oltre 250 metri che, in soli quattro furiosi minuti, alla velocità di 80 Km orari, spazzò via i paesi di Casso ed Erto e il borgo di Longarone. La gente non riuscì a mettersi in salvo, non si fece forse neanche in tempo a capire cosa stesse succedendo: alla fine si contarono ben 1.917 vittime ( di cui 487 minori di quindici anni), molte delle quali non sono mai state ritrovate, trascinate via o sepolte dal fango! Fin qui la cronaca. Lo spettacolo termina con il canto “Il Signore delle cime”, scritto dagli Alpini per ricordare i tanti loro e nostri fratelli morti sulle montagne. A noi questo lavoro teatrale è piaciuto tanto perché basato su fatti reali, raccontati con dignità e coraggio da un bravissimo narratore; azzeccati i brani musicali che hanno impreziosito i vari momenti della storia e gli effetti speciali con cui si è voluto soprattutto isolare il momento clou della tragedia, attraverso l’oscuramento totale del palcoscenico ed un tonfo stordente, a simulare la frana e la morte che arrivarono a strappare la vita di tanti innocenti.