di MARTINA DEPLANO –
Il libro di Donatella di Pietrantonio, intitolato
L’Arminuta, racconta la storia di una ragazzina, che, improvvisamente, senza alcuna spiegazione, viene restituita alla sua famiglia biologica da coloro che credeva i suoi genitori; per l’Arminuta (la ritornata), come la chiamano tutti, comincia così una nuova vita, molto diversa dalla precedente e un lungo percorso per ritrovare se stessa.
I personaggi di questo breve romanzo sono caratterizzati non da lunghe descrizioni (di alcuni, compresa la protagonista, non compare neppure il nome), ma semplicemente dalle loro azioni e parole e spesso, soprattutto, dai loro silenzi e gesti trattenuti; l’Arminuta è un’adolescente, che, dopo aver vissuto per tredici anni in una famiglia agiata, viene catapultata in un mondo sconosciuto, tra persone ostili, che ogni giorno lottano per sopravvivere. Ella scopre di avere cinque fratelli, che non riesce a sentire come tali, un padre silenzioso e manesco e una madre indurita dalla povertà; della madre biologica la giovane scrive: ”Mi vergognavo di lei, delle dita screpolate, il lutto sbiadito addosso, l’ignoranza che le sfuggiva di bocca ad ogni parola. Non ho mai smesso di vergognarmi della sua lingua, del dialetto che diventava ridicolo quando si impegnava a parlare pulito”. La ragazzina, mentre tenterà di trovare il proprio posto nella nuova famiglia, combattendo contro indifferenza e pregiudizi, continuerà testardamente a cercare di capire il motivo (che in paese conoscono tutti) per cui è stata restituita, oscillando continuamente tra il dubbio di aver commesso qualcosa di imperdonabile e la paura che Adalgisa, la madre che ora deve chiamare zia, si sia ammalata gravemente e non possa più prendersi cura di lei. A salvare la giovane da quel mondo di ignoranza e promiscuità sarà l’amore potente e viscerale di Adriana, la sorella minore, che per prima la riceve sulla porta e con la quale dovrà dividere il letto in uno stanzone buio, ”popolato di fiati”; tra loro si instaura una legame fortissimo, che, insieme allo studio e alla lettura, costituirà un rifugio sicuro contro la crudeltà e l’egoismo degli adulti:
“Mia sorella. Come un fiore improbabile, cresciuto su un piccolo grumo di terra attaccato alla roccia. Da lei ho appreso la resistenza. Ora ci somigliamo meno nei tratti, ma è lo stesso il senso che troviamo in questo essere gettate nel mondo. Nella complicità ci siamo salvate.”
Sicuramente un altro protagonista è l’Abruzzo rurale dei primi anni Settanta, nel quale è ambientata la vicenda: una terra ancestrale, ruvida e aspra, dove si mescolano tradizioni, superstizioni, credenze popolari e sapienza antica e di cui nonna Carmela, ”con la pelle del viso riarsa dal sole di cento estati”, la quale vive all’ombra di una quercia secolare, dispensando a tutto il paese rimedi e pozioni magiche, è simbolo.
Il libro, che prende spunto da uno dei tanti casi di “donazione”, con cui, un tempo, le famiglie indigenti cedevano i loro figli a coppie sterili, spesso parenti benestanti, per assicurare loro un futuro migliore, affronta temi difficili quali l’abbandono e la maternità nelle sue mille sfaccettature, nelle sue anomalie e in quelle parti in ombra che normalmente vengono taciute; la scrittrice, per bocca della protagonista che si definisce “orfana di due madri viventi”, racconta le conseguenze devastanti di chi è stato privato delle proprie radici:
“Ero l’Arminuta, la ritornata. Parlavo un’altra lingua e non sapevo più a chi appartenere. La parola mamma si era annidata nella mia gola come un rospo. Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza.”
Donatella di Pietrantonio trasmette gli stati d’animo dei personaggi con uno stile asciutto, incisivo e parole essenziali, ma di forte intensità; il finale aperto e i brevi rimandi al presente lasciano al lettore la curiosità di sapere di più sulla vita dei protagonisti dopo quell’anno cruciale, in cui ognuno di essi ha dovuto guardarsi a fondo, per trovare la forza di costruirsi un nuovo futuro.
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