di MATILDE NUTI –
C’era una volta, in una casa lontana vicino al bosco, la dimora di una famiglia. La figlia Agata, appena nata, non riusciva mai a dormire la notte e così faceva impazzire i genitori; appena questi si assopivano, ella cominciava a piangere: era un vero incubo. Un giorno d’inverno, il padre tornò dal suo lavoro di falegname con un piccolo fagotto tra le mani; aspettò la cena, poi disse dolcemente guardando negli occhi la donna e tenendole la mano: “Tesoro, ho un regalo per te… per noi”.
“Che cosa, caro?” chiese la donna in pena: non erano purtroppo molto agiati economicamente.
Il marito, allora, entusiasta, prese il piccolo fagotto e lo mostrò alla moglie, aprendoglielo davanti: quello che uscì fu un piccolo carillon, nulla di speciale, nulla di costoso, costruito interamente dal padre per la figlia per farla addormentare serena; la donna guardò commossa l’uomo, dolcemente gli accarezzò il dorso della mano col pollice, mentre un sorriso le incorniciava il volto. Quella sera, i genitori della piccola la misero a letto e, dopo che l’ebbero caricato, il carillon cominciò a suonare dolcemente, cullando Agata.
Passarono gli anni, precisamente dieci: ormai la bambina riusciva a dormire senza la ninna nanna, ma quel piccolo strumento, quel piccolo giocattolo l’affascinava, l’affascinava al punto da chiedere al padre falegname di insegnarle come costruirne altri.
Fu accontentata: a undici anni sapeva fabbricare carillon di ogni forma e dimensione, al che le venne un’idea: costruire una casa delle bambole con i suoi strumenti modellati come oggetti, un luogo dove ognuno di essi avrebbe suonato una diversa melodia.
Chi avrebbe abitato la casa? Semplice, la sua bambola di porcellana: somigliante ad Agata stessa, aveva il viso contornato da splendidi boccoli color ebano, gli occhi come smeraldi; indossava in genere un abito bianco di tulle con attorno alla vita un enorme nastro rosso. Tutti i vestiti erano stati cuciti apposta per le bambole dalla madre della bambina, che felice giocava con quella casa da lei costruita. Aveva perfino fatto per la sua bambola una piccola collana con un cuore.
Un giorno di primavera dello stesso anno, la piccola Agata sparì nel bosco senza lasciare alcuna traccia: i genitori erano disperati, la madre non mangiava e il padre costruiva ogni settimana un carillon che metteva nella sua piccola casetta in sua memoria; la casa sembrava più piccola ora.
Una notte di fine primavera di molti anni dopo, quando ormai i due erano diventati anziani, mentre la luna era alta nel cielo, vennero svegliati da una dolce musica. Spaventati, seguirono con l’udito la melodia che diventava più forte, più si avvicinavano alla sua sorgente; giunsero davanti alla camera dei giochi di Agata. Era molto tempo che non vi entravano, ma sembrava che le note soavi provenissero proprio da dentro la stanza e così aprirono la porta: tutto era impolverato e pieno di ragnatele e l’unica fonte di luce era la luna.
I genitori di Agata non capivano: un carillon aveva preso a suonare, ma nessuno s’era avventurato nella camera da anni. Inoltre, avevano fatto suonare tutti insieme i giocattoli un’ultima volta in un gran concerto tempo prima; si avvicinarono e videro la bambola seduta immobile nella sua cucina. Si fermarono a guardarla in tutta la sua bellezza e in tutta la sua staticità, mentre gli strumenti a forma di macchina da cucire e da scrivere suonarono fino a che il dolce suono dei carillon li fece addormentare. Il giorno seguente, la casa dei genitori era sparita con loro, la radura in cui abitavano era completamente disabitata.
C’erano una volta, molti anni dopo, una giovane coppia che era andata a correre nel bosco: felici ed innamorati continuavano la loro scampagnata di un tardo pomeriggio di primavera, fino a che la loro attenzione venne attirata da una dolce musica: “Spegni il telefono”, sgridò la ragazza, seppure con un sorriso, l’uomo.
“Ma non mi sta suonando il telefono”, rispose egli perplesso.
I due seguirono la musica fino a giungere a una piccola radura disabitata e desertica, se non fosse stato per una piccola casa fatta di legno con dentro tre bambole fatte di porcellana: la prima era una donna con indosso un vestito rosa ed un grembiule bianco, dai boccoli d’oro e gli occhi come il mare; la seconda era la bambola di un uomo, con una salopette marrone e una maglia bianca, in uniforme da vecchio falegname; la terza vestita con un abito in tulle bianco con in vita un enorme nastro rosso, col viso incorniciato da boccoli neri e gli occhi color smeraldo; tutte sistemate nelle stanze: la prima seduta accanto alla macchina per cucire che cantava una melodia, la seconda seduta alla macchina da scrivere che suonava un’altra canzone e la terza seduta con splendida staticità al tavolo che, però, non emetteva suoni.
I due corridori si fermarono a guardare incantati ed incuriositi dalla casetta musicale, fino a che si addormentarono cullati dalle loro dolci note, mentre anche il grammofono cominciò il suo concerto.
Dei due corridori non si seppe più nulla vennero ritrovati solo il telefono della ragazza e una piccola scatolina contenente un anello con un diamante, il più grande che il ragazzo potesse permettersi col suo piccolo stipendio.
Comparvero in quella casetta due giovani bambole: la prima dai capelli rossi e dagli occhi castani, con un vestito color ametista; la seconda era la bambola di un maschio che indossava la camicia e pantaloni con le bretelle, con i capelli color ebano e gli occhi color smeraldo; le due bambole ballavano sulle note del grammofono, mentre dolcemente si guardavano negli occhi.
La casa dei carillon, destinata a pochi: se i due corridori fossero stati più attenti, lo avrebbero capito. In quella casa può entrare solo chi fa parte della famiglia Utzeri, come del resto era scritto sulla cassetta delle lettere.
Se trovate quindi una piccola casa di legno nel bosco con i carillon, se essi cominciano a suonare e voi portate quel cognome, allora scappate. Se, al contrario, suonano, ma voi non portate quel cognome, state tranquilli, fermatevi e ascoltate le incantevoli note dei giocattoli musicali, ma state attenti: non addormentatevi, o finirete come me, intrappolata nella casa, seduta con splendida staticità a raccontare anche voi come me la vostra storia.