E quando le speranze sembravano svanire l’occasione di intervistare la Preside è arrivata.
L’idea di questa intervista era nata (ed accettata) lo scorso anno ma per sue esigenze personali e per la sopravvenuta emergenza pandemica era stata rimandata più volte. Qualche settimana fa finalmente siamo riusciti a concordare un collegamento su Classroom (nella stanza virtuale della Redazione).
Quella che nasce come intervista alla Preside si è poi trasformata in un dialogo più confidenziale. Lei si è sentita subito di raccontarci quella che è stata una parte della sua vita. Prima di collegarsi in videoconferenza era in contatto telefonico con Kiev. Lei ricorda molto bene la fine dell’aprile del 1986, dopo l’esplosione della centrale atomica di Chernobyl, per vicende personali molto spiacevoli che non ha mai dimenticato. Una decina di anni dopo quel disastroso evento,
ci fu uno scambio con l’Ucraina, arrivarono ad Aversa tanti bambini e ragazzi che
vennero accolti nelle famiglie e lei diede la sua disponibilità. Si aspettava l’arrivo di una bambina, si ritrovò con un ragazzo di 15 anni, Denis. Inizialmente, con la famiglia, si è trovata ad affrontare molte difficoltà soprattutto per la lingua. Lui dopo diversi mesi dovette andare via e si erano persi di vista. Dopo qualche anno Denis ha rintracciato la figlia della preside su Facebook e si sono organizzati per una videochiamata tramite Skype e hanno ricominciato a sentirsi telefonicamente. La Preside ha avuto il “privilegio” di conoscere cosa stesse succedendo a Kiev prima che ne facessero parola i giornali e i social. Denis racconta che inizialmente non c’erano difese territoriali, a 130 metri da casa sua costruivano trincee con tronchi, materiale di risulta e qualsiasi cosa che potesse servire per arginare l’avanzata dei carri armati mentre con le armi si stavano attrezzando alla vecchia maniera ovvero con le bottiglie molotov per disporle sui tetti delle case. Denis ha deciso di arruolarsi in queste truppe di difesa cittadina per difendere la sua patria. Sentirsi raccontare come stanno vivendo e cosa sono costretti a vivere tutti i giorni ci ha fatto riflettere tanto. Così questo fatto atteso e temuto è entrato nella nostra vita e ne abbiamo avvertito subito le conseguenze. La Preside ci ha, poi, raccontato di essersi trasferita da Carinaro a Liberi, ad un’ora dalla scuola, mostrandoci la situazione di isolamento del luogo in cui vive e le difficoltà di collegamento telefonico. Non sempre è iperconnessa come quando viveva nell’agro aversano. Anche ironicamente ci ha detto che lei sarebbe stata una delle studentesse penalizzate dalla perdita continua della connessione.
A questo punto abbiamo cominciato con qualche domanda. Le abbiamo chiesto: “Lei è stata per un certo periodo un’insegnante di matematica. Cosa l’ha spinta a diventare preside? Dirigere una
scuola come la fa sentire? Dopo anni rifarebbe la stessa scelta? O, comunque, cosa le
manca di tale esperienza?”.
In sintesi la sua risposta. Quello che l’ha spinta in questo passaggio professionale della sua vita era unicamente il desiderio di fare qualcosa di più per i suoi ragazzi e per i figli del nostro territorio. Lei stessa riconosce che sia una motivazione un po’ romantica. Dirigere una
scuola ingrandisce a dismisura il personale senso di responsabilità ma rifarebbe questa
scelta. Questa nostra domanda aveva stimolato in lei tante riflessioni. La Dirigente da piccola
immaginava di fare la parrucchiera, asciugava i capelli un po’ a tutta la famiglia.
Dell’esperienza di insegnante le manca il tempo, quello che dedicava a escogitare strategie
per far amare la matematica ai ragazzi, le mancano i pomeriggi di tempo prolungato e
soprattutto i pomeriggi in cui realizzava con i ragazzi laboratori di giochi matematici che
intrigavano un po’ tutti. Anche alcuni docenti le confessavano che la sera dopo cena si
divertivano con i suoi giochi matematici.
Dopodichè noi le abbiamo domandato: “Lei come dirigente vive la scuola come seconda
famiglia, che effetto le ha fatto entrare a scuola nel periodo della DAD e non trovare nessun
ragazzo. Cosa ha provato quando poi, in presenza, si sono verificati casi particolarmente
preoccupanti di Coronavirus tra alunni e docenti? Ed ora come sta vivendo questa nuova
situazione, forse meno preoccupante ma ancora incerta?”
Siamo riuscite a portarla con la mente al primo lockdown, alle sensazioni iniziali
e le abbiamo stimolato una riflessione sul significato di “ricordare” che per lei è
mantenere nel cuore il ricordo e la memoria del passato. Durante la prima fase di
Dad ha provato lo spaesamento totale che inizialmente colpiva tutti i sensi (il non vederci, il non sentirci). “Ogni discesa mattutina casa-scuola aveva del surreale. Quando scendevo le strade erano vuote viaggiavo con autodichiarazione, con la radio sempre sintonizzata sulle news, sul bollettino dei morti e dei contagi. Era tutto senza anima, a scuola: l’esperienza del primo lockdown è stata molto forte. Questa memoria dolorosa ci è servita per insegnarci il valore della convivenza e della solidarietà”.
Inoltre le abbiamo chiesto: come giudica, in generale, l’esperienza della Dad del nostro istituto? Condivide le opinioni di chi ritiene che siano stati due anni sostanzialmente persi per gli studenti?
Ha replicato che nessuno strumento in assoluto è buono o cattivo, sarebbe una visione troppo manichea. “Voi ragazzi della redazione del “Gallo Strillone”, il vostro lavoro, grazie a quella che è a tutti gli effetti una metodologia supportata dalle tecnologie, siete stati uno dei punti fermi. Siete riusciti a mantenere la redazione sempre aperta. Questo è un mezzo che diventa metodo, strategia e che in quelle circostanze diventa una possibilità. Non può essere presa la DAD e demonizzata. é
anche vero che la nostra relazione si esplica al meglio in presenza perchè c’è la cosiddetta
prossemica e ognuno di noi è come se fosse in questo campo energetico in cui entra
l’alunno, il docente. Anche costituzionalmente come popolo abbiamo necessità di queste distanze
ravvicinate: il gesto del darci la mano, del toccarci e la mancanza di ciò ha fatto male.
Grande parte del nostro lato comunicativo con tutte le limitazioni a cui siamo stati sottoposti
è scemato, è andato un po’ perso. Ci sono state molte difficoltà oggettive legate proprio alle
tecnologie e soprattutto alla dispersione. La DAD indubbiamente ha avuto degli aspetti
negativi ma ha avuto anche effetti insperati in alcuni campi, anche i docenti hanno utilizzato
delle strategie per arrivare agli studenti attraverso strumenti non convenzionali. Per tutte le
esperienze bisogna sempre trovare una fase di riflessione per salvare gli aspetti positivi,
riconoscere anche quelli negativi ma in entrambi i casi questa riflessione serve ad andare
oltre. Ad esempio, tornare in presenza non è un ritorno al passato”.
A questo punto, purtroppo, si è interrotto il collegamento. Erano pronte altre domande ma questa emozionante conversazione ci aveva dato già tantissimo. Ci siamo, infatti, consultate e ci siamo ritrovate d’accordo sull’impressione che ci ha fatto la preside: la immaginavamo più formale e condizionato dal suo ruolo. Invece è stata molto gentile e disponibile nell’offrirci un po’ del
suo tempo e l’ha fatto con molta naturalezza. Subito ci ha messo a nostro agio. All’inizio,
nessuno di noi aveva il coraggio di fare la prima domanda, ma dopo cinque minuti ci
sembrava di parlare con una persona che conoscevamo da tempo: è stato un po’ come se
avessimo parlato con uno dei nostri professori, che ormai abbiamo imparato a conoscere. E di ciò le siamo molto grate.
ROSA GALLUCCIO, GIOVANNA ISTRIA (5^C)
“UNA SCUOLA DI VITA” – A COLLOQUIO CON LA PRESIDE
di IL GALLO STRILLONE ON LINE - AVERSA (CE)|
2022-03-31T18:39:45+02:00
31-3-2022 18:39|Alboscuole|0 Commenti