A Mongrassano il rituale del Carnevale è molto sentito, acquista una connotazione particolare tipica dei paesi di origine albanese. Si tratta certamente della ricorrenza pagana più rappresentativa che tuttora, dopo ben cinque secoli di storia, tiene vive e funzionali varie pratiche tradizionali legate al ciclo dell’anno. Queste usanze sono rimaste inalterate nel tempo e risultano parte integrante della vita di ogni mongrassanese.
L’origine dei riti presumibilmente affonda le sue radici nelle gesta del condottiero Skanderberg, per ricordare la sua vittoria contro l’invasione turca. Nei giorni di Carnevale il borgo di Mongrassano si anima e rivive l’antica tradizione arberëshe delle valie.
Il rito della valia è una danza con i vestiti tradizionali della comunità arberëshe, un’espressione coreutico-canora, perché le persone coinvolte nel ballo cantano e danzano contemporaneamente. Il gruppo, formato sia da uomini che da donne, si tiene per mano ed è guidato da un uomo che attraverso un fazzoletto colorato dirige la danza e il canto; si formano così delle coreografie sinuose. I costumi sono veri e propri capolavori artistici che ripropongono l’antica simbologia orientale attraverso ricami di singolare bellezza. L’abito femminile che è l’unico appartenente alla vera tradizione arberëshe, è un’esplosione di colori caldi e straordinari ricami, sottana lunga e larga con bustino e gilè in tessuto d’oro (lamadoro), che impreziosisce l’abito rendendolo di gran valore.
La valia procede muovendosi lungo le strade al canto di “Mole mole”; Il motivo della canzone non è mai cambiato, il brano è eseguito in due parti: i primi cantori intonano una strofa e l’altra metà risponde; i danzatori che sono anche cantori, vengono accompagnati da altre persone che suonano strumenti musicali come organetto, fisarmonica, tamburello, chitarra.
La catena umana si ferma più volte nelle case di parenti e amici, i quali aprono i loro portoni, per far entrare la valia che intona strofe di augurio per i padroni di casa e le loro famiglie. Vengono offerti salumi, dolciumi e immancabilmente il buon vino, le tavole sono ampiamente imbandite. Dopo un breve raduno la valia riprende sempre ballando e prosegue verso un’altra abitazione; capita spesso che si incontri con un’altra valia dove per tradizione e per rispetto ci si unisce per danzare tutti insieme. Infine la sera del martedì grasso, al Carnevale viene riservata una triste fine e la valia si trasforma in un corteo funebre.
Si porta per il paese un pupazzo con le sembianze umane accompagnato dal “vjatimmu di Carnalivari”, ossia dal lamento funebre dal testo satirico. Allo scadere della mezzanotte il fantoccio viene arso in piazza al canto di “Jet’e barda” vita bianca, testo propiziatorio quale capro espiatorio dei peccati commessi, con desiderio e auspicio di ritrovare un mondo più positivo e vivibile. In questi rituali del Carnevale, che sopravvivono alla cancellazione del tempo, sono presenti antichi valori umani ed elementi culturalmente significativi per scavare nel nostro passato remoto e ritrovare il senso di appartenenza nella società consumistica contemporanea.
Io che ho avuto il piacere di assistere per diverse volte a questo rito, ho apprezzato il senso della straordinaria accoglienza verso l’altro di questa comunità, nonché la partecipata condivisione alla convivialità e la premura dell’ospitalità che è vissuta in maniera sacra per questa gente, in quanto offre tutto quello che ha. Ogni passaggio comunque confluisce nel regalare al popolo la possibilità di estraniarsi dal reale, anche solo per qualche giorno, di dimenticare convenzioni e ruoli sociali. La comunità cerca di espellere le forze malefiche che sembrano influenzare il suo vivere quotidiano e, rinnovato e purificato, ricerca la gioia.
Professoressa Rosalba Granieri, IC Fagnano Castello-Mongrassano (CS)
(Foto Archivio F. Posteraro)
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