“De teste ne poi taja’ quante te ne pare… so’ le lingue che contano!” (Nino Manfredi, Pasquino, “Nell’anno del Signore”)
di Colomba Pinto, 4ªD –
L’8 aprile del 2021 il ministro Franceschini ha dato la notizia: abolita la censura sulle opere cinematografiche. Il critico cinematografico Gianni Canova, che molti di noi conoscono per le sue brevi e caustiche analisi di film del palinsesto Sky, commentò la notizia con un post su Instagram; in breve, scrisse: è un’ottima notizia; però perché in Italia, da almeno trent’anni a questa parte, non c’è più stato un solo film “censurabile” come lo furono, ai tempi, il Salò di Pasolini o Ultimo tango a Parigi di Bertolucci? Perché nessuno ha avuto la capacità — o il coraggio — di realizzare film altrettanto forti, non digeribili, che non fossero dipendenti dai canoni etici ed estetici dominanti? C’è qualcuno che sia stato almeno capace di pensarlo, un film del genere? E allora la domanda che ci poniamo è: l’abolizione della censura cinematografica la possiamo davvero considerare un traguardo, se per anni ci siamo autocensurati, prima per paura della censura e adesso in nome del “politicamente corretto”? Dall’altra parte del globo, poi — forse per eccesso di zelo — gli organizzatori della premiazione più accreditata del Pianeta, gli Oscar, hanno deciso di accogliere tra i film candidabili solo quelli che seguano criteri volti a creare un cinema più inclusivo; per cui avremo, perlomeno nei film americani, almeno un attore protagonista che appartenga a una minoranza etnica o il 30% del cast composto da due tra le categorie: donne, afroamericani, ispanici, appartenenti alla comunità Lgbtq+, disabili. Siamo ancora una volta d’accordo con il “Cinemaniaco” Canova quando afferma che: “Con questi criteri il 90% dei capolavori della storia del cinema sarebbe da scartare”. Diciamocelo chiaramente: un cinema più inclusivo non è la scelta giusta; o almeno non è la scelta giusta per rendere più inclusiva la società. Il cinema non deve essere inclusivo, il cinema non è per forza di tutti, un film non dev’essere fatto per piacere: un film deve provocare, ti deve lasciare scosso, lasciarti qualcosa dentro o prendere qualcosa da te; quando, uscendo dalla sala buia del cinema, vai di nuovo verso l’ordinaria luce della normalità, ti senti cambiato, diverso, abraso, e fai ritorno a casa a braccetto con i problemi che avevi deciso di lasciarti alle spalle entrando nell’ambiguità della sala. E allora noi vogliamo sederci sulle poltrone rosse e vellutate del cinema, vogliamo diventare un tutt’uno con loro, vogliamo provare emozioni guardando una pellicola, poter pensare, riflettere, ridere, piangere, provare amore, paura, dolore… Vogliamo fare un giro tra le emozioni come fossimo sulle montagne russe… e come potremo farlo, se i film verranno ridotti a compitini uguali, inutili, noiosi, vuoti? Non possiamo permetterci che il cinema — e con esso la nostra vita — diventi un unico, continuo, enorme cliché. Spero in una società dove ci sarà per sempre spazio per i Pasolini, per gli anarchici e i rivoluzionari del cinema. Spero in una società che della censura abbia bisogno, perché ancora capace di osare e di dissentire.