di Melotti Camilla, Pietroboni Daria e Riva Luisa
Carnevale è una festa pagana la cui data varia ogni anno, infatti per stabilire il giorno esatto della festa ci si basa sulla Pasqua, sulla Quaresima e anche sul calendario lunare.
Il termine carnevale deriva dalla locuzione carne-levare: togliere la carne; infatti principalmente nel passato era il giorno precedente all’inizio della quaresima in cui si cessava l’utilizzo della carne fino alla Pasqua. Tuttavia questa interpretazione non è una delle più affidabili.
Il carnevale in Valle Camonica aveva nei vari paesi che la formavano dei caratteri pressoché omogenei ed altri invece che caratterizzavano solo alcune comunità.
Rappresentavano una costante di questa manifestazione popolare la presenza di persone mascherate, l’addobbo degli animali domestici adibiti al trasporto di carri e carretti pure decorati, le presenze di suonatori popolari di organetto, clarino, chitarra e mandolino.
Accanto all’apparato scenografico e musicale contraddistinguevano il carnevale le danze eseguite soprattutto all’interno delle stalle durante le veglie serali.
Alcuni paesi accanto a questi tratti comuni sfoggiavano antiche ritualità, avanzo di una tradizione secolare e spesso mutuate oltre i confini valligiani, quali quelli bergamaschi, valtellinesi o trentini.
Il periodo di Carnevale copriva in genere il tempo delimitato fra il sette gennaio (seguente all’Epifania) e il martedì grasso (vigilia delle Ceneri) ma erano gli ultimi sei giorni che vedevano la massima vitalità di usanze e costumanze.
In alcuni paesi girava la compagnia del “Pes”, ossia un gruppo di giovanotti che, indossando un mantello, percorrevano le strade pesando la gente al fine di calcolare quanto fossero ingrassati dopo le mangiate proprie di questo periodo.
In altri le zitelle giunta la mezzanotte del martedì grasso andavano per il borgo piangendo e lamentandosi inscenando i così detti “piagnistei” per la fine dell’amato carnevale, tempo nel quale avrebbero potuto fidanzarsi o addirittura maritarsi.
Ricca e diversificata era la presenza dei dolci tipici. Alcuni gustati anche durante le sagre di paese che questo periodo di festa assorbiva. Fra i più caratteristici troviamo i “fladù” de sant’ Antone. Originale pure risultano le ricette delle “fladarde” e dei “turtèi dulcc”.
Più comune e omogena era la manifattura dei “crostoi”, delle “fritole”, delle “marendole” e dei “salta sö”.
Diffusa in Valle Camonica era la presentazione di momenti teatrali allegri e drammatici, anche tolti da copioni impegnativi o tratti direttamente dai canovacci della Commedia dell’Arte caratterizzati dalla predisposizione degli attori all’inventiva dei dialoghi.
Caratteristica era la preparazione delle Giostre camune, in esse i personaggi si alternavano a giostra in scena in dispute fra personaggi definiti da tradizioni ancestrali, quali l’angelo della vita e della buona morte, il diavolo, il notaio, la vecchia e il vecchio. L’anima del morente chiamata “peldegat” trovava concreata rappresentazione nell’impiego di una pezza di cuoio.
Per antica usanza alla morte del protagonista succedeva la sua resurrezione mediante l’impiego della musica, che assumeva una valenza di forza di passaggio e di ritorno del “peldegat” nel corpo.
Il carnevale era infatti particolare per la contemporanea presenza di momenti simboleggianti: la morte e la vita, la povertà e la ricchezza, l’elemento selvaggio ed addomesticato. Particolare a questo proposito risulta la tradizionale presenza nel paese di Pescarzo di Capo di Ponte del ballo dell’Orso.
Fra le maschere tipiche della nostra valle possiamo nominare quella degli sposi attempati, dei mugnai infarinati, degli stagnini e degli spazzacamini, degli orsanti, dei malghesi impegnati nella transumanza.
I balli caratteristici di questo periodo, in voga dal XVII secolo al XIX secolo erano in ordine temporale: la Girometta, la Polesana, la Furlana, lo Scotish, la Manfrina. Vi erano poi danze gioco quali il ballo dela Scagna, dela Candela, del Barber, del Bacio e dei Tamburini. Attualmente queste danze sono riproposte dal gruppo folkloristico Camuno I Balarì de l’Adamèl, e compongono il repertorio proposto durante le sue esibizioni.
Caratteristica nel carnevale era la presenza di gruppi mascherati accompagnati dal suonatore e anticipati dalle figure della guida non travisata e dallo spazzino che creava simbolicamente lo spazio per la rappresentazione scenica.
Numerose erano le storie tramandate oralmente inerente le situazioni che questi momenti di teatralità paesana producevano. Fra le più conosciute vi è quella della Mandragola e della Festa serale di sole donne riunite a mangiare gli gnocchi.
In alcune borgate come quella di Incudine, si ricorda la presenza, derivata da influssi migratori, del Carnevale “Vecc”, ossia vecchio, in sintonia con la fine del Carnevale proprio dell’area milanese. Un breve ritorno al carnevale sia ha poi in concomitanza con il giovedì di mezza quaresima o nel fine settimana vicino, quando alla sera si brucia il pupazzo della vecchia che incarna in sé tutti i mali e gli spiriti negativi sviluppatisi durante la stagione invernale.
Attualmente il carnevale ha perso molto del suo spirito originario ma non è andata persa completamente la sua natura originaria di satira, scherzo, camuffamento e valorizzazione degli opposti.
È un peccato che si siano perse nelle sfilate la presenza delle caratteristiche maschere antiche giunte sino all’epoca dei nostri nonni o meglio dei nostri bisnonni. Sarebbe auspicabile che ogni sfilata inizi, come fanno in alcuni paesi della vicina Valtellina, con l’avanzata delle maschere tipiche alle quali seguono quelle prodotte dai tempi moderni.