di Camilla Senigaglia, Classe 1^ B. – Care lettrici e cari lettori vi parlerò di un fatto che è successo più di cento anni fa. Mi sto riferendo alla prima Guerra Mondiale che ha interessato anche il piccolo Comune di Cavallino-Treporti. Ne sono venuta a conoscenza quando ero solo un piccola bambina e cioè quando, per andare in spiaggia, dovevo percorrere delle stradine di campagna. Durante il tragitto passavo attraverso un boschetto seduta sul seggiolino dietro alla bicicletta di papà e vedevo un edificio tra le erbacce che mi sembrava un imponente ‘panettone’ in pietra. Visto che ero una bambina molto curiosa, ogni tanto chiedevo a papà che cosa fosse quello strano edificio e lui mi rispondeva sempre che una volta lì ci vivevano i soldati. A quell’età non potevo capire molto, ma man mano che passavano gli anni ho richiesto insistentemente maggiori informazioni perché ero molto incuriosita da quel particolare edificio. Le risposte arricchivano le mie informazioni e di questa storia comprendevo sempre di più. Trascorsi alcuni anni mi sono resa conto che era arrivata l’eta di sapere di più, quindi ho incominciato a fare delle personali ricerche e finalmente ho scoperto che Cavallino-Treporti aveva partecipato attivamente alla Prima Guerra Mondiale. Con molto stupore ho letto che sulla sommità di quel ‘panettone di pietra’ c’era installata una torre corazzata girevole a 360° di tipo navale armata con due cannoni in grado di sparare enormi granate da 875 kg a quasi 20 km di distanza con una cadenza di un colpo al minuto. Anche se molti oggi non sanno di quell’esistenza o forse non ne conoscono bene la sua storia, quella fortificazione è stata molto importante. Quando l’Italia è entrata in guerra nel 1915 contro l’impero Austro – Ungarico fu necessario difendere Venezia, sede della più importante base navale di tutto l’Alto Adriatico; pertanto, c’era la necessità di bloccare il nemico nella Pianura Padana ed evitare che potesse raggiungere Milano e Torino e quindi spingersi verso la Francia Meridionale. Se ciò fosse accaduto avrebbe sicuramente indebolito la resistenza degli eserciti alleati a Nord. Le mie ricerche mi hanno fatto sapere che fu il vice-ammiraglio Paolo Thaon di Revel che intuì già dal 1913 che fosse estremamente necessario rafforzare e riorganizzare la difesa delle coste e dei suoi litorali della Laguna. Dopo che era incominciata la Guerra la strategia difensiva da attuare era quella di scoraggiare le flotte nemiche allineando dei grossi cannoni in grado di colpire e distruggere obbiettivi a quasi venti chilometri di distanza. Per questo motivo furono installati due possenti cannoni che erano prodotti in Italia presso la batteria Amalfi. Come luogo altamente strategico per la difesa fu scelta la località di Punta Sabbioni che appunto si trovava alla fine del litorale nei pressi di Cavallino. La batteria Amalfi fu la più importante costruzione militare fissa attuata per difendere Venezia nel corso della Grande Guerra e faceva parte di un più complicato sistema di difesa che era stato creato e distribuito su tutto il litorale. Questo straordinario sistema si basava su molte opere quali: batterie costiere, polveriere, comandi, caserme, forti, rifugi, torri, hangar e bunker. Per la conformità naturale dell’ambiente lagunare tutto quel patrimonio immobiliare non trovava somiglianze in altre parti del territorio nazionale e probabilmente neanche a livello europeo. La batteria Amalfi era un vero e proprio villaggio di guerra. l suo corpo principale era un grosso edificio in calcestruzzo con muri perimetrali a sud e a ovest con spessore di nove metri sul quale c’era una grande torre armata con due grossi cannoni del calibro di 381 millimetri. Pensate che per costruirlo furono necessari circa diciassette mesi. La parte più importante per la difesa erano le torri di avvistamento, infatti da esse si eseguiva la misurazione del bersaglio tramite una triangolazione e si comunicavano le coordinate ai cannoni. Sul portale ad arco d’ingresso fu posta la scritta in latino: “Ex imo fluctuum contra hostes resurgo” che in italiano si traduce in: “Dalle profondità del mare riemergo contro il nemico” proprio per ricordare l’affondamento della nave militare “Amalfi” avvenuto per via di un sottomarino nemico in Alto Adriatico il 7 luglio 1915. Per nascondere gli edifici ma anche per proteggerli dal mare furono ricoperti da grossi cumuli di sabbia. I cannoni istallati erano costruiti dagli stabilimenti Vickers – Terni di La Spezia che all’inizio erano stati destinati alla nave da battaglia Francesco Caracciolo di 31000 tonnellate di stazza che però non fu mai costruita per il suo elevato costo. Le canne avevano un estensione di 15,75 metri. Le munizioni erano sviluppate fino ai 1,465 metri e pesavano 875 chilogrammi ciascuno. C’erano diverse cariche di lancio per imprimere al proiettile varie gittate e velocità, la più potente imprimeva una velocità iniziale di 700 metri al secondo ovvero 2500 km/h. La costruzione di torri girevoli dell’Amalfi consentiva un settore orizzontale di tiro a 360°, anche se la direzione normale di tiro contro bersagli navali era compresa in un arco di 143°. Con un’inclinazione di +20° la gittata massima raggiungeva 19800 metri cioè circa 20 km con un tempo di volo di 41 secondi alla cadenza di fuoco e quindi si avrebbe potuto sparare un colpo al minuto. Il 14 maggio del 1917 alle tre del pomeriggio fu ordinato il primo comando di fuoco con il cannone di destra posto alla massima elevazione (+20°) e partì il primo proietto da 381 millimetri, dopo una quarantina di secondi raggiunse il bersaglio a mare di fronte a Jesolo ad una distanza di 18 chilometri. L’Amalfi divenne subito un motivo di orgoglio nazionale. Tra i primi ospiti famosi a quell’epoca ci fu il Re d’Italia Vittorio Emanuele III di Savoia che la visitò nel 1916 e nel 1918 per assistere ad un colpo di fuoco contro il fronte sul territorio. Molti soldati stranieri che erano di stanza in quell’area bellica oppure in licenza si recarono per vederla quali: inglesi, americani, belgi, francesi e perfino delegazioni militari Russi e Giapponesi. Durante la Guerra l’Amalfi non ebbe occasione di affondare bersagli navali, ma finì per operare contro il fronte terrestre colpendo con violenza le fanterie nemiche sul Piave e sulla gronda lagunare verso oriente. Un preciso colpo dell’Amalfi disintegrò un ponte di barche, realizzato nel cuore della notte dall’esercito austro-ungarico, poco prima che le truppe nemiche potessero attraversarlo impegnata sul fronte della Piave vecchia in prossimità di Caposile, Musile e Cavazuccherina (Jesolo). Un suo colpo copriva buona parte dell’isola della Piave, raggiungendo Portegrandi, Meolo, Roncade, La periferia di Mogliano Veneto, Mestre, Venezia fino a San Pietro in Volta a Pellestrina. Ben presto si diffuse la fama della sua grande capacità di fuoco e precisione che scoraggiò i comandi navali austriaci ad interventi che potessero venire dal mare. Proprio per tale sua reputazione e senza mai intervenire direttamente si può dire che l’Amalfi ha vinto la propria battaglia anche sul fronte del mare e che gli austriaci hanno preferito non sfidare. A questo punto, per concludere, non mi resta che fare la seguente constatazione: ”Passandoci velocemente davanti a questi edifici che per fortuna sono stati restaurati si rischia di non accorgersi a cosa potesse servire, ma se ne conosciamo la storia capiamo a che importanza ha avuto e quante vite si sono sacrificate per farci vivere in pace come stiamo vivendo ora. Sono molto contenta che il nostro comune di Cavallino-Treporti stia valorizzando questo patrimonio come ha già fatto con un’altra batteria, mi sto riferendo alla batteria Vettor Pisani.” Grazie per aver letto l’articolo e spero di aver dato delle informazioni utili!