a cura di Aisa Greta, Gaudenzi Veronica, Loreti Riccardo, Neri Giulia, Pesaran Sanli, Elisa Zappi – classe II/D – scuola Secondaria di I grado.
“Senza guardie delle SS in vista, le truppe sovietiche marciarono
attraverso i cancelli di Auschwitz, mentre una neve leggera cadeva
sotto la scritta che portava la bugia disgustosa sul lavoro che rende
liberi. Quando i soldati nelle loro uniformi rozze, berretti e borse in
cuoio stracolme ci raggiunsero, sapevamo che non dovevamo aver
paura di loro perché ci stavano sorridendo. Mostrammo loro i nostri
tatuaggi identificativi, ma scostarono le nostre braccia e chiesero i nostri nomi. Non eravamo più prigionieri – eravamo sopravvissuti.
Non eravamo più numeri – eravamo persone. Ed eravamo liberi.”
Il più giovane prigioniero di Auschwitz – Michael Bornstein e Debbie Bornstein Holinstat.
Tutto ciò sembra così lontano, un capitolo della storia remota, ormai sigillato… invece io ne sento ancora l’odore venire dal baule in cui è stato rinchiuso, non credo di essere l’unica, la peste dell’oppressione è ormai finita, ma le lapidi che ha lasciato non passano inosservate… Ma il passato non si cancella, non ci sarà mai una gomma per cancellare il passato, ma ci sarà sempre una matita per scrivere il futuro imparando dai propri errori. Alcuni errori, però non si dovrebbero nemmeno chiamare così, dovrebbero essere chiamati “orrori”. Sono sopra la soglia dell’errore, sono oltre il confine. Quali sono questi “orrori”? Forse con qualche parola vi verrà in
mente uno degli esempi più conosciuti, “Auschwitz”, “camere a gas”, “filo spinato” …