//La lingua italiana vista da un grande scrittore

La lingua italiana vista da un grande scrittore

di | 2021-12-02T16:46:29+01:00 29-11-2021 19:46|Alboscuole|0 Commenti
Di Guido De Fusco – 5C –
La tradizione letteraria italiana, di cui dovremmo essere particolarmente fieri, ha da sempre vantato uno dei migliori bagagli culturali (se non il migliore), ereditato essenzialmente da Dante, Petrarca e Boccaccio (illustri poeti conosciuti anche con l’appellativo di “padri della lingua italiana”) e ampliato anche dai contenuti più moderni e all’avanguardia prodotti dagli autori romantici e da quelli dei secoli posteriori.
  All’indomani dell’unità d’Italia, il governo italiano dovette affrontare un tema di importanza cruciale: il problema dell’unità linguistica nazionale, considerato in quegli anni il necessario nodo da sciogliere per raggiungere la tanto ambita unificazione del territorio italiano.
Nonostante la frammentazione politica e culturale che ha caratterizzato la nostra penisola per molti secoli, si è potuto contare su un forte sentimento di unità nei confronti della tradizione letteraria italiana, il quale ha innestato lo slancio verso un percorso di crescita collettiva della lingua. È proprio questo uno dei meriti fondamentali riconosciuto al patrimonio letterario italiano.
Tuttavia, questo vivido senso di “italianità”, nel corso del nuovo millennio, è andato scemando, come se il valore che da sempre lo ha caratterizzato abbia subìto incisive svalutazioni. Italo Calvino, uno dei più noti scrittori della nostra epoca, è stato uno dei primi a sentire la necessità di difendere dei valori che a molti potranno sembrare ovvi, ma che non lo sono affatto. Lo scrittore afferma che l’assunzione di questa posizione provenga dalla sua ipersensibilità: egli è convinto che il linguaggio sia stato privato di quell’imprescindibile esattezza che lo delinea e che venga utilizzato nella vita di tutti i giorni in modo sempre più approssimativo e sventato.
Non è però da considerare la reazione di Calvino come una forma di intolleranza nei confronti del prossimo: egli, a tal proposito, enuncia che preferisce parlare il meno possibile, poiché prova fastidio sentendo parlare sé stesso; proprio per questo motivo predilige la scrittura nella misura in cui la correzione minuziosa di ogni frase, sia per quanto riguarda il lessico che la forma, possa eliminare in maniera sostanziale l’insoddisfazione che egli prova nel momento in cui esprime le sue parole. In accordo con ciò, la letteratura è per Calvino la “Terra Promessa”, in cui l’essenza del linguaggio si realizza appieno; in altre parole la letteratura è il luogo in cui il linguaggio si manifesta per ciò che dovrebbe essere.
È come se un’epidemia pestilenziale abbia contaminato l’uso della parola, facoltà che più caratterizza il genere umano, offuscando la particolare cura e la scrupolosa ricerca di perfezione che la letteratura riserva alla lingua. L’idea che il linguaggio sia stato afflitto da una vera e propria forma di malattia si manifesta come una meccanicità che tende a privare la frase del suo carattere espressivo, diluendola e riducendola in formule astratte e generiche a cui è stata sottratta quella forza di immediatezza significativa.
A Calvino non interessa analizzare le cause e le origini di quest’epidemia (forse da ricercare nella politica, nei mass media, nella diffusione scolastica della cultura ecc.), piuttosto proporre una possibilità di guarigione: solamente la letteratura può essere concepita come l’unica difesa che contrasti la propagazione di questa pestilenza, come l’unico antidoto capace di far fronte alla decadenza e al disordine che governano il linguaggio e il presente stesso.
Molti linguisti del nostro secolo si sono soffermati, spinti da un ardente senso di preoccupazione, sulle contaminazioni che affliggono il linguaggio moderno. Sono fermamente convinti che, di questo passo, all’incirca tra trent’anni, si parlerà un italiano semplice, anglicizzato, molto meno colto e più colloquiale. Si andrà incontro, in pratica, a un linguaggio scarno e all’attenuazione della tradizione umanistica latina.
È dunque un bene fondamentale che ognuno si impegni a fare uso dell’ “arma” della letteratura sia per salvaguardare la propria lingua, elemento caratterizzante della tradizione di un popolo, sia per orientare la propria mente verso nuove prospettive, favorendo, in tal modo, la realizzazione di uno sviluppo culturale individuale e collettivo.