Iniziava così una mia lettera informale ai colleghi.
Era Febbraio.
Nessuno sapeva come sarebbe andata per davvero quando, arrivati il 1 settembre 2020 per il primo giorno di servizio dopo la pandemia, riuniti tutti in giardino e distanziati, in un clima surreale da film post apocalittico, la Dirigente ci accoglieva e ci informava sulle nuove misure, nuove linee, disposizioni, tranquillizzandoci sul fatto che a poco a poco avremmo preso confidenza con tutto questo. Ci chiedevamo come in realtà, concretamente, saremmo riusciti a fare scuola. Noi, che facciamo scuola in edifici con strutturazioni uguali da più di cinquecento anni, noi che abbiamo insegnato a leggere alla Classe Dirigente del Paese, noi che non solo la facciamo, ma siamo la Scuola. E il nostro Dirigente, come in un poetico accampamento militare, sembrava leggerci nel pensiero, esortandoci ad essere visionari, immaginando una Scuola e una Didattica che avrebbero dovuto necessariamente essere divergenti dal pensiero tradizionale.
“Come faremo. Come farò…”
A breve avremmo visto le linee gialle adesive sui pavimenti a indicare chi deve camminare dove, avremmo trovato segni a terra per tenere i banchi a misura, avremmo avuto una tabella oraria per una turnazione in giardino di quelli che fino a pochi mesi fa erano stati spazi e tempi “liberi”.
Eravamo in quel cortile, ignari e un po’ spaventati, ma con la grinta e l’entusiasmo che solo gli insegnanti sanno avere a settembre di ogni anno.
L’obiettivo sarebbe stato accogliere i bambini, ci eravamo detti; come possibile, cercare di dar spazio al loro sentire, al loro vissuto presente e passato, al ricucire di relazioni bruscamente interrotte a marzo del 2020 e per molti di loro, davvero ancora troppo piccoli, senza neppure gli strumenti per comprenderla ed elaborarla davvero questa sospensione.
Parlare, far esprimere, rielaborare, ricostruire, ricucire, guidare. Resilienza in una sola parola.
Nel corso dei mesi ci siamo trasformati, adattati e plasmati; abbiamo forse un po’ perso di vista alcuni di questi obiettivi avvincenti. La paura, le frequenti quarantene e isolamenti di interi gruppi classe o singoli colleghi, il rischio e l’esposizione continua a quest’ultimo, quel senso di “pericolo” costante e di responsabilità rispetto a ciò, ci ha condotti a poco a poco, giustamente, verso la priorità alla salute fisica dei nostri bambini, tralasciando troppe volte e per necessità quella emotiva e psicologica. «Disinfettati!, Non toccare!, State lontani!, No non si può., Rispettate il verso della linea gialla!, Uno alla volta!, la mascherina!, …». Questi i comandi che si sono sentiti ripetere per otto ore al giorno, lunghe nove mesi, i nostri piccoletti. La loro salute e la tutela di quella degli altri: una sola persona poco attenta avrebbe potuto influire sulla vita di altre 25 famiglie.
Fino a che loro, stra-ordinari come sempre, ce lo hanno fatto capire come hanno potuto il loro disagio: un tempo ci avrebbero abbracciati chiedendoci conforto attraverso il corpo, un tempo ci avrebbero sorriso a mezza bocca mostrando un sorriso amaro a farsi comprendere, un tempo ci avrebbero chiesto “un bacio e passa tutto”, un tempo si sarebbero messi a giocare come forsennati rincorrendosi tra loro nel cortile della scuola nei momenti tristi, toccandosi e finendo faccia a faccia tutti insieme ridendo, un tempo si sarebbero scambiati regali o figurine per sollevarsi il morale a vicenda, oppure condiviso disegni a sei mani (o anche di più) e cartelloni per la maestra. Un tempo. In questo di tempo, invece, non avendo altri strumenti per comunicarci il loro malessere ce lo hanno espresso con i comportamenti, con le domande strane, le frequenti paure o le richieste di attenzioni. Un mal di pancia cominciava a diventare improvvisamente motivo di spavento, un’assenza prolungata di un compagno una preoccupazione, il raffreddore della loro maestra un “Maestra, ma torni?”
Agitati, nervosi e iperattivi hanno finalmente trovato il coraggio di chiedere e poi esprimere. ”Maestra, ma quando finisce il covid?”, “Maestra, ma quando torniamo alla normalità?”, “Maestra, io non ce la faccio più”.
E noi, appassionati, energici e reattivi come sempre, noi adulti di riferimento, una risposta effettivamente non ce l’abbiamo, per loro che se la meritano.
Siamo umani. A volte sembra che ce ne dimentichiamo, presi dalla nostra missione professionale e spinti dalla passione. Ed è invece questo il lavoro in cui più di tutti si porta l’umano dentro. “Il maestro è prima di tutto una brava persona” spiegava la mia Docente di Pedagogia alla prima lezione di matricole.
Una cosa non dobbiamo mai dimenticarla invece, anche in questi momenti professionalmente durissimi e di sconforto, non dobbiamo dimenticare che siamo, o dovremmo essere, gli intellettuali di questo Paese. Persone con una Cultura e una Formazione elevate, con una opinione dignitosa e di livello su temi importanti, con posizioni costruttive e strutturali, siamo coloro che educano ed istruiscono le menti pensanti del domani.
E siamo soprattutto coloro ai quali le Famiglie e lo Stato affidano la cosa più preziosa, il Futuro.
Ce lo siamo ripetuti tante volte e continuamente “È stato un anno scolastico particolare”, talmente tante volte che quasi ha acquisito banalità. E invece, possiamo affermare a gran voce che ce l’abbiamo fatta.
“Come faremo. Come farò”. Così.
Stanchi, sfiniti, spremuti, a volte venire a lavoro e aggirarsi tra tutti gli ostacoli è sembrato simile all’essere parte di un film della Marvel, ma in fondo come canta qualcuno “Possiamo essere Eroi per un giorno”.
Ma i veri supereroi, non c’è che dire su questo, sono stati loro, i bambini. che hanno resistito, hanno sorriso sotto le mascherine, hanno indossato queste ultime per otto ore al giorno consecutive, neanche noi adulti lo abbiamo fatto; e con queste in faccia ci hanno scritto, letto, disegnato, imparato il corsivo, fatto ricreazione all’aperto, ascoltato le nostre prediche; ci hanno sognato, ci hanno sperato e soprattutto ci hanno affidato: le loro speranze, si sono fidati di noi, mondo adulto e la sua promessa di un futuro imminente migliore. Loro hanno fatto la loro parte, ora tocca a noi.
A tutti i bambini,
siate fieri di voi,
siete stati davvero dei supereroi.
“Io, io riesco a ricordare (mi ricordo)
In piedi accanto al Muro (accanto al Muro)
E i fucili sparavano sopra le nostre teste (sopra le nostre teste)
E ci baciammo,
come se niente potesse accadere (niente potesse accadere)
E la vergogna era dall’altra parte
Oh possiamo batterli, ancora e per sempre
Allora potremmo essere Eroi,
anche solo per un giorno
Possiamo essere Eroi
Possiamo essere Eroi
Possiamo essere Eroi
Solo per un giorno
Possiamo essere Eroi”
HEROES – D. Bowie