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Alabama, Smith giustiziato con l’azoto

di | 2024-02-04T09:59:13+01:00 4-2-2024 5:35|Attualità, Sezione 8|0 Commenti

PERUGIA – Tortura di Stato. Per di più non totalitario, ma con tutti i crismi della democrazia. Non si può dar torto al condannato se prima di morire ha mormorato – secondo organi di stampa statunitensi come BBC e Ap – che l’Alabama con questa esecuzione abbia “fatto fare un passo indietro all’Umanità”. Già perché il 26 gennaio nella prigione Holman di Atmore, nel profondo sud degli USA, è stato sperimentato un nuovo sistema per uccidere i condannati: una maschera sigillata posta sul viso del reo e l’emissione di azoto. La morte arriva per ipossia. I giornalisti presenti hanno documentato che l’agonia del condannato si è protratta per 22’; che la vittima è rimasta cosciente per un paio di minuti e che ha continuato a contorcersi, polsi e piedi legati, nella camera della morte, per qualcosa come 7’. Il tutto sotto il controllo degli addetti della “Correctional Facility”, dell’Istituto di Pena (cioè personale interno della struttura carceraria in quanto i medici, per deontologia, non presenziano, almeno attivamente, alle esecuzioni).

Kenneth Eugene (nome che significa “ben nato”: se i genitori avessero conosciuto il destino che attendeva il neonato si sarebbero ben guardati dall’imporglielo) Smith, il condannato, aveva 58 anni, era sposato e padre. Nel 1988, all’età di 22 anni, l’uomo con due complici (John Forrest Parker, condannato a morte nel 2010 e Billy Gray Williams, che aveva avuto l’ergastolo ed è spirato in cella per cause naturali), aveva ammazzato a coltellate una donna, Elisabeth Darlene in Sennet, 45 anni, su commissione del coniuge di quest’ultima, il reverendo Charles Sennet, il quale, travolto dai debiti, aveva organizzato il delitto da eseguire nel quadro di un furto con scasso in casa, al fine di riscuotere l’assicurazione sulla vita della consorte. Dopo l’omicidio, raggiunto dai primi sospetti degli inquirenti, il reverendo si era tolto la vita.

Anche l’alto commissario dell’Onu per i diritti umani, Volker Turk, ha espresso il suo “profondo rammarico” ed ha aggiunto il timore che “il metodo nuovo non testato adottato in Alabama possa equivalere a tortura o a trattamento comunque crudele, inumano, degradante”. Purtroppo in molte nazioni del mondo vige ancora la pena di morte nonostante a fine Settecento Cesare Beccaria nell’opera “Dei delitti e delle pene”, avesse stigmatizzato le uccisioni di Stato in maniera netta e definitiva. Soltanto negli Stati Uniti (dove la morte viene praticata in 27 stati con la sedia elettrica, con la fucilazione, con l’inoculazione di veleni in vena) sono state eseguite 24 sentenze mortali del 2023 e ben 2.300 condannati aspettano il loro turno…

Se dalle Americhe giungono notizie così terribilmente shoccanti, almeno per le coscienze più avvedute, in Italia la Corte Costituzionale ha emesso, al contrario, una sentenza di profondo carattere umanitario, riconoscendo ai detenuti il diritto alla “libera espressione dell’affettività”, dichiarando altresì illegittimo il controllo a vista, della polizia carceraria, nel corso dei colloqui, previsto dall’articolo 18 della legge sull’Ordinamento penitenziario. Il coniuge (inteso anche come soggetto legato da una unione civile o da un legame stabile di convivenza, anche omosessuale) può consumare un rapporto con il partner ristretto dietro le sbarre. Il verdetto risponde ad un ricorso presentato da un detenuto del carcere circondariale di Terni, in cella da quattro anni e con fine pena nel 2026, il quale aveva obiettato, come la negazione del diritto, concretizzasse “una violenza fisica e psicologica” ed una palese violazione della Costituzione Italiana e della Costituzione Europea dei diritti dell’uomo.

Ora per rendere concreto il dettato della Consulta dovranno venire approntati luoghi appropriati ed attrezzati nelle carceri (qualcosa di sperimentale è stato attuato nel carcere di Opera a Milano) e passeranno, per forza di cose, degli anni. Tuttavia il principio è sancito. Ed i parlamentari dovranno sbrigarsi a varare una legge “ad hoc”. Un sindacato di polizia penitenziaria, pur non negando il diritto, postula – partendo dal presupposto delle difficoltà e dei costi legati alla costruzione di edifici appositi nelle strutture di detenzione –  l’ipotesi di concedere permessi premio ai detenuti, in modo che possano consumare i loro rapporti nelle proprie abitazioni. Il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, ha dichiarato: “Abbattuto un tabù… Ora si renda concreto ed effettivo il diritto”.

Elio Clero Bertoldi

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